Nel discorso tenuto nel 2006 davanti all'Accademia svedese in occasione del Nobel per la Letteratura, Orhan Pamuk ricorda un episodio avvenuto molti anni prima: «Pieno di trepidazione avevo consegnato a mio padre il dattiloscritto del mio primo romanzo perché lo leggesse e mi desse un parere». Era il 1974 e Pamuk aveva solo ventidue anni quando decise che sarebbe diventato uno scrittore (abbandonando gli studi di architettura e le ambizioni da pittore) e, come lui stesso dice, si chiuse in una stanza per portare a termine il suo primo romanzo: Il signor Cevdet e i suoi figli, un'ambiziosa saga che attraverso la storia intima di una famiglia di Istanbul ripercorre un secolo di storia turca, dal disfacimento dell'Impero ottomano alla rivoluzione kemalista di Atatürk, dalla nascita della Repubblica fino ai colpi di stato militari degli anni Settanta. Tutti i personaggi dei libri di Pamuk sono alla ricerca disperata di un'identità, una conquista che coincide con il libro stesso e che quasi mai si conclude senza ambiguità: i protagonisti del Signor Cevdet e i suoi figli non fanno eccezione, anzi ne sono in un certo senso il modello.
A cominciare ovviamente dal fondatore della dinastia Cevdet, umile bottegaio della Istanbul di inizio secolo che, inconsapevole vettore di modernità, tenta di imporsi come commerciante musulmano in una città che limitava il commercio alle minoranze etniche e religiose; per passare ai suoi figli e ai loro amici, esempi di una generazione spaesata, ostinatamente in cerca di uno scopo per vivere in un paese sospeso tra residui della tradizione e un'occidentalizzazione allo stesso tempo agognata e imposta dall'alto; fino ad Ahmet, l'ultimo nipote, che negli anni Settanta partecipa, riluttante, ai movimenti studenteschi. Tra questi personaggi che lottano per essere fedeli alla propria vocazione, si potrebbe arruolare lo stesso giovane autore: eccolo allora confrontarsi - ma è un confronto pieno d'amore - con la grande tradizione europea del romanzo, da Balzac a Zola, da Dostoevskij a Tolstoj, da Hölderlin a Thomas Mann, per elaborare (ed è un lavoro che il lettore del Signor Cevdet ha il privilegio di veder svolgersi sotto i propri occhi) una lingua personale.
Quando il padre di un giovane, incerto e dubbioso Pamuk lesse il manoscritto del figlio ne fu ammirato: «Pronunciò parole che mi apparvero esagerate per esprimere la fiducia che riponeva in me e nel mio romanzo: mi disse che un giorno avrei vinto il Nobel».