La democrazia non godeva di buona fama nell'antichità, neppure nella città che le aveva dato i natali. L'avversione di gran parte degli intellettuali ateniesi nei confronti del governo 'dei molti' derivava dall'opinione per lo più negativa che gli scrittori antichi avevano del popolo, assimilato a una massa ignorante e irrazionale, facile preda delle lusinghe dei demagoghi. Nell'età moderna il giudizio nei confronti della democrazia muta, ma i dubbi sulla capacità del popolo di autogovernarsi si ripropongono, alimentati dai non pochi casi di pessime decisioni assunte dai cittadini nell'esercizio della sovranità: dalla elezione di Luigi Napoleone a presidente della Repubblica, nel 1848, al voto che conduce al potere Hitler, nel 1933, all'irresistibile ascesa, nel corso del XX e XXI secolo, di improbabili 'uomini della provvidenza' che, in nome del popolo, si ergono al di sopra della legge e dello stato di diritto. Il volume si sofferma su alcuni di questi episodi, identificando quattro distinte dimensioni del problema dell'incompetenza del popolo, esemplificate dalle figure del demos, della plebe, dei subalterni e degli 'stupidi'. Tali figure fanno la loro comparsa in epoche diverse, suscitando la paura e l'ostilità dei ceti colti e aristocratici, ma provocando sconcerto anche in chi crede nel valore dell'eguaglianza politica, ma non si nasconde il problema delle insufficienti capacità critiche dei cittadini-elettori.