Perché le nostre istituzioni - anche quelle fondamentali come la politica, la scuola, la sanità, i servizi sociali - ci sembrano spesso così lontane dai cittadini, dalle loro esigenze, dalla vita reale? È ancora possibile per loro stringere un nuovo patto con la comunità o sono condannate a rimanere confinate nell'autoreferenzialità, consegnate alla logica della programmazione e del controllo, se non dell'utile e del profitto? Educare, curare, governare non sono attività standardizzabili, assimilabili a quelle di una macchina impersonale, ma si interfacciano costantemente con l'imprevedibilità e l'eccedenza della vita, soprattutto nei suoi passaggi dolorosi come la malattia, il disagio, la violenza. Avvicinarsi a questa anima inquieta, al corpo pulsante della comunità non è possibile se si muove da strategie predefinite e da azioni pianificate all'interno di più o meno improbabili cabine di regia. Occorre invece 'entrare nel rischio' e dare ospitalità anche - e in primo luogo - alle manifestazioni più recalcitranti della natura umana che chiedono sempre, oltre che di essere ascoltate, di essere aiutate a definirsi, di essere dotate di confini entro cui esprimersi, e a volte addirittura di ricevere una voce e un nome che da sole non sanno darsi. C'è bisogno, insomma, che le istituzioni diventino il vero e proprio 'genius loci' chiamato a vigilare sul buon equilibrio di un territorio e della comunità che lo abita, aperto nei confronti delle energie vitali che vi circolano.