I protagonisti moderni della missione, preoccupati dal problema di superare le barriere, si impegnano nella trasmissione dei contenuti; quelli medievali, nel caso specifico i francescani, sono concentrati sul tema della presenza nello spazio e concepiscono l'attività evangelizzatrice non come trasmissione di contenuti, bensì come presenza negli spazi, quelli estremi, i fines terrae. Alla Cina-finis terrae il frate Minore attribuisce un valore spirituale, quasi mistico, così come spirituale e mistico è il rapporto con l'Oriente, al quale il francescano aspira anche in seguito all'approdo nelle Indie occidentali, meta temporanea ed accidentale. L'Oriens, cioè la luce, vero nome della città natale di Francesco secondo il Poeta, costituisce il perno della riflessione sull'identità missionaria del frate Minore, la stessa che Giotto si impegna a riprodurre nella basilica superiore di Assisi mediante la scena di Beniamino, il fratello minore, prigioniero in Egitto. Nel regno dei faraoni, Beniamino è presenza nascosta e subalterna, così come la coppa della saggezza, appartenente al sapiente Giuseppe, giace nascosta nel suo sacco. Il frate Minore John of Wales, interprete coevo del medesimo brano biblico, spiega infatti: "Cosa significa che Beniamino scende in Egitto, se non che egli è chiamato a portare nel mondo delle tenebre la luce della contemplazione delle cose celesti, la luce trascendente nel mondo temporale, il cielo alla terra?".