"All'inizio, nel secondo Ottocento, c'è il patriarca Luigi Sacco, bracciante d'ingegno e passione. Vengono poi i discendenti, grandi lavoratori tutti, e socialisti, tra emigrazione transoceanica e chiamata alle armi nella Grande Guerra, malversazioni e canaglierie di rozzi capimafia con alle spalle pupari altolocati, che prosperano nella latitanza dello Stato e sanno come avvantaggiarsi nella tragica notte del fascismo, nonostante il pugno di ferro del prefetto Mori (e grazie ad esso, anzi) che seppe abbattersi anche sui comuni oppositori politici. I cinque fratelli Sacco conoscono la disperazione a vivere in un regime di mafia. Si danno alla latitanza. Si sentono investiti di un ruolo di supplenza nella lotta (armata) contro i persecutori mafiosi. Diventano giustizieri solitari, nel silenzio ottuso dell'omertà: cittadini eslègi di uno Stato che non ha saputo garantirli. Vengono arrestati, processati, e inventati come "banditi" e predoni d'assalto. In carcere conoscono l'antifascismo. Incontrano Umberto Terracini e incrociano Gramsci. Il succo della storia, di questo western nostrano di onest'uomini indotti e costretti a farsi vendicatori, è di declinazione manzoniana: 'I provocatori, i soverchiatori, tutti coloro che, in qualunque modo, fanno torto altrui, sono rei, non solo del male che commettono, ma del pervertimento ancora a cui portano gli animi degli offesi'." (Salvatore Silvano Nigro)