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MIGRAZIONI, UMANESIMO E CIVILTÀ
Adolfo Nicolas S.I.
Riportiamo l’intervento a braccio del p. Adolfo Nicolás, Superiore generale della Compagnia di Gesù, in visita al «Centro Astalli – Servizio dei Gesuiti per i rifugiati in Italia», in occasione della Giornata mondiale del migrante e del rifugiato. L’incontro ha avuto luogo nella chiesa del Gesù a Roma, il 14 gennaio 2016. Il testo, pur con qualche lieve modifica, conserva il carattere orale dell’intervento.
Bisogna essere grati ai migranti venuti in Italia e in Europa certamente per un motivo: ci aiutano a scoprire il mondo. Ho vissuto in Giappone per più di trent’anni e ho lavorato per quattro anni in un centro per migranti, la cui maggioranza non ha documenti in regola. Parlo dunque per esperienza vissuta. E, proprio alla luce di ciò che ho vissuto, lo confermo: le migrazioni sono una sorgente di benefici per i vari Paesi, e lo sono state da sempre, nonostante le difficoltà e le incomprensioni.
La comunicazione tra le varie civiltà avviene, infatti, attraverso i rifugiati e i migranti: è così che si è creato il mondo che conosciamo. Non si è trattato soltanto di aggiungere culture a culture: è avvenuto un vero e proprio scambio. Questo ci dice la storia. Anche le religioni — il cristianesimo, l’islam e l’ebraismo — si sono diffuse nel mondo grazie ai migranti che hanno abbandonato i loro Paesi e si sono mossi da un luogo a un altro.
Per questo occorre essere grati a loro, perché ci hanno «dato» il mondo, senza il quale saremmo chiusi dentro la nostra cultura, convivendo con i nostri pregiudizi e con i nostri limiti. Ogni Paese corre il rischio di rinchiudersi in orizzonti molto limitati, molto piccoli, mentre grazie a loro il cuore può aprirsi, e anche lo stesso Paese può aprirsi a dinamiche nuove.
La conoscenza e la consapevolezza dei problemi comuni e quotidiani, la consapevolezza dell’interdipendenza ci uniscono nel compito di diventare uomini o donne. Sono i migranti che hanno creato un Paese come gli Stati Uniti, un Paese nel quale si è sviluppata la democrazia. Questo non è avvenuto per caso: è proprio perché si è creato un melting pot, una mescolanza di culture e di persone, che è nato un Paese così. E, ovviamente, potremmo fare altri esempi nel mondo: l’Argentina, ad esempio, e così via.
I migranti dunque ci possono aiutare ad aprire il cuore, ad essere più grandi di noi stessi. Si tratta di un grande dono. Quindi essi non sono semplicemente «ospiti», ma gente che può dare un contributo al vivere civile, e che offre un apporto notevole alla cultura e alle sue evoluzioni profonde. Proprio grazie ad essi continuiamo ad approfondire l’umanesimo. Dobbiamo prenderne consapevolezza.
Un vescovo giapponese, riferendosi al versetto del Vangelo «Io sono la via, la verità e la vita» (Gv 14,6), diceva che l’insegnamento di Gesù si può applicare anche ad altre religioni. Adesso, come Superiore generale dei gesuiti, devo viaggiare spesso in tutto il mondo, e constato che questo vescovo aveva ragione. L’Asia, in particolare, si può considerare la «via». È infatti in Asia che si cerca sempre il percorso, il «come»: come fare yoga, come concentrarsi, come meditare. Yoga, zen, le religioni, il judo — ritenuto il cammino dei deboli, perché si serve della forza degli altri — sono tutti considerati come cammini. Senza creare opposizioni, bisogna considerare che l’Europa e gli Stati Uniti sono preoccupati soprattutto per la «verità»; l’America Latina e l’Africa sono preoccupate per la «vita». I valori della vita sono molto importanti, e per questo abbiamo bisogno di tutti, perché tutti hanno una saggezza e un contributo da offrire all’umanità.
È giunto il momento in cui l’umanità si deve pensare come un’unità e non come un insieme di tanti Paesi separati tra loro con le loro tradizioni, le loro culture e i loro pregiudizi. È necessario che si pensi a un’umanità che ha bisogno di Dio, e che ha bisogno di un tipo di profondità che può venire soltanto dall’unione di tutti. Dobbiamo dunque essere grati per questo contributo di migranti e rifugiati a un’umanità integrale. Essi ci rendono consapevoli del fatto che l’umanità non è formata solo da una parte, ma proviene dal contributo di tutti.
Inoltre, essi ci mostrano la parte più debole, ma anche la parte più forte dell’umanità. La più debole, perché hanno sperimentato la paura, la violenza, la solitudine e i pregiudizi degli altri: questo fa parte della loro esperienza, lo sappiamo bene. Ma ci mostrano anche la parte più forte dell’umanità: ci fanno capire come superare la paura con il coraggio di correre dei rischi che non tutti sono in grado di correre. Essi hanno imparato a non essere bloccati dalle difficoltà nella loro voglia di futuro. Hanno saputo superare la solitudine con la solidarietà, aiutando gli altri, e hanno mostrato che l’umanità è debole, ma può anche essere forte. Ci hanno dimostrato persino che ci sono valori e realtà più profonde di quelle che abbiamo perduto. E questo accade quando si vivono situazioni estreme.
A questo proposito mi viene in mente un’esperienza fatta da mio fratello, che vive negli Stati Uniti. Durante un incendio scoppiato vicino alla sua casa, ha temuto che il fuoco si estendesse alla sua abitazione. Mi ha confessato che, proprio mentre era preso dalla paura, ha imparato a distinguere che cosa è importante e che cosa non lo è. Infatti, non ha messo in salvo il denaro, ma ha portato via un pacco di fotografie, che gli ricordavano le sue radici e la sua vita. In quel momento ha capito che la parte più importante è dentro se stessi, non al di fuori, nemmeno nella casa. Tutto questo lo sperimentano anche i rifugiati: hanno visto il pericolo in faccia e lo hanno affrontato. Pensiamoci almeno per un attimo: «Se non avessimo più una casa, una famiglia, una lingua… Ma se avessimo solo la vita, e anch’essa in pericolo, che cosa faremmo? che cosa penseremmo? che cosa e chi ameremmo?».
Quest’anno noi celebriamo l’Anno della misericordia, un concetto centrale in molte religioni. Nel cristianesimo, nell’islam, nell’ebraismo e in tutte le grandi religioni la misericordia è un concetto molto importante. Senza di essa non si può vivere, e migranti e rifugiati ce ne mostrano un volto.
Quando una persona ha tutto, può essere misericordiosa senza paura; ma quando una persona non ha nulla ed è misericordiosa verso un’altra persona, offre ancora di più. Il volto della misericordia, in questo caso, diventa assai più reale.
Così possiamo imparare da migranti e rifugiati ad essere misericordiosi con gli altri. Impariamo da loro ad essere umani nonostante tutto. Impariamo da loro ad avere come orizzonte il mondo, e non la nostra piccola, ristretta cultura. Impariamo da loro ad essere persone del mondo.