La globalizzazione significa da un lato che, per la prima volta nella storia dell'umanità, la Terra chiede di essere considerata per ciò che essa davvero è, cioè un globo e non una mappa; dall'altro che per il funzionamento del mondo tempo e spazio hanno perso quasi ogni importanza. Ecco perché la globalizzazione resta un fenomeno cosí difficile da capire.
Lo spazio e il tempo moderni sono il prodotto della sostituzione del mondo con la carta geografica: soltanto su una tavola, cioè una mappa, i corpi possono perseverare nel loro moto rettilineo uniforme. Sulla sfera terrestre, però, non vi sono limiti, né spazio, né tempo. Sappiamo quando spazio e tempo della fisica classica sono entrati in crisi, l'epoca moderna è terminata ed è iniziata la globalizzazione: nell'estate del 1969 si ebbe l'impressione di essere entrati in una nuova era, ma non si trattava della conquista dello spazio (inteso come cosmo), bensí della sua fine. In quei giorni nasceva infatti il primo segmento della Rete: negli Stati Uniti due computer iniziavano a dialogare fra loro riducendo gli atomi a immateriali unità d'informazione.
Cosí la prossima volta che il saggio indica la luna, non bisogna guardare né il dito né la luna e sarà bene continuare in ogni caso a guardare, per cercare di capire, la nostra vecchia e consumata Terra. È quel che si tenta di fare qui, in serrato dialogo critico con le voci piú incisive che hanno di recente fatto i conti con il fenomeno della globalizzazione. È un tentativo che parte da un'inedita genealogia della forma-stato e, secondo un itinerario che attraversa storia, psicologia, economia, politica, filosofia e letteratura, si conclude nel campo delle piú avventurose scienze cognitive, animato da un'unica convinzione: che la geografia sia la forma archetipica e originaria del sapere occidentale, e che come tale contenga il seme del pensiero futuro.