Questo studio è la prosecuzione di un altro lavoro sulle società aperte relativo al periodo antico e medioevale, già pubblicato in questa collana. Partendo da quell'itinerario si analizza il difficile rapporto, spesso conflittuale e drammatico, tra i teorici delle società aperte e coloro che hanno inseguito utopie e chimere di vario genere. Il filo conduttore tra i due saggi passa attraverso le istituzioni politiche della repubblica romana e del parlamentarismo inglese, pilastri delle società anticamente libere, sebbene imperfette e per questo sempre soggette al miglioramento. Certo non è un caso che a questi due modelli si rifanno tutti quei grandi pensatori, come Vico, Montesquieu, Hume ed altri, che costituiscono i punti di partenza del moderno liberalismo.Il testo, analizzando il non facile cammino dell'affermazione dei diritti, ripercorre il pensiero politico moderno e l'approccio a quello contemporaneo cercando di criticare non pochi luoghi comuni e mettendo in evidenza come, anche nei secoli più recenti e per mezzo di pensatori ritenuti per tanto tempo tra i più illuminati, si è operata la negazione completa della società aperta. Tutto ciò è avvenuto non solo in modo esplicito, tramite quelli che vengono definiti i nemici della libertà, ma anche in modo più o meno larvato tramite pensatori utopisti di vario genere. Non meno pericolosa è l'analisi di quelli che vengono definiti i paradossi della modernità che, dietro apparenti idee innovatrici, hanno poi esaltato metodi e principi che con la libertà e la sua storia non avevano niente a che fare.Queste pagine, oltre al profilo storico del problema, intendono mettere in guardia ciascuno di noi sulla delicatezza degli equilibri delle società aperte che, al pari della libertà, vanno difesi con la massima lucidità e determinazione.