La verità talvolta viene declinata al plurale, oppure viene intesa in senso molto relativistico, e non precisamente in-relazione, cosa molto diversa. Il mio amico filosofo Stefano Zampieri ha coniato il bellissimo sintagma “verità locali”, pur non essendo assolutamente un relativista, ma un pensatore cosciente che tutto-e-ogni-cosa-è-inrelazione- con-tutto-e-ogni-cosa. I relativisti, specialmente quelli dediti alla ricerca gnoseologica ritengono che A possa tranquillamente e immediatamente essere sostituita da B, senza alcun rispetto per il principio di identità e di non contraddizione. E questo non funziona, come vedremo nei post dedicati a Wittgenstein. Noi umani dobbiamo avere l’umiltà di rispettare le convenzioni linguistiche e i nomi-che-diamo-alle-cose, non violare questo patto sacro per ragioni ideologiche, come accade di questi tempi quando si vuol talora chiamare le cose con nomi impropri, come chi insiste a definire “matrimonio” una legittimissima “unione civile”. Si può dire che non è vero che un matrimonio coincide con un’unione civile, poiché matrimonio significa etimologicamente “ufficio della madre”, e non sempre nelle unioni civili vi è una madre. O no? Ecco come si trova la verità, che possiede una sua inconfutabile eternità, o perennità, se vogliamo dire in un altro modo.
Note sull'autore
Renato Pilutti è teologo sistematico (PhD), consulente di direzione in aziende nazionali e multinazionali e filosofo pratico di Phronesis, Associazione nazionale per la consulenza filosofica. Collabora con atenei statali e pontifici.