«A te, che non mi hai mai conosciuta»: è questa l'intestazione della lettera che, nel giorno del suo compleanno, riceve un romanziere viennese, un quarantenne di bell'aspetto a cui la vita ha offerto i suoi doni più ambìti: la ricchezza, la fama e un fascino «morbido e avvolgente» a cui è impossibile resistere. «Ieri il mio bambino è morto»: così esordisce la misteriosa scrivente, e continua: «adesso al mondo mi sei rimasto solo tu, tu che di me non sai nulla». Quando lui leggerà quelle righe, lei sarà già morta: per questo, solo per questo, concede a se stessa di raccontargli la propria vita - la vita di una creatura che per più di quindici anni (prima bambina, poi adolescente, e poi donna) gli ha votato, «con la dedizione di una schiava, di un cane», un amore «disperato, umile, sottomesso, attento e appassionato», senza mai rivelargli il proprio nome, senza mai chiedere nulla, ottenendo in cambio solo poche notti d'amore e portandosi dentro un unico, struggente desiderio: che incontrandola, almeno una volta, la riconoscesse. Ma quasi sempre il volto di una donna rappresenta per l'uomo «solo lo specchio di una passione, di un gesto infantile, di un moto di stanchezza, e svanisce altrettanto facilmente di un'immagine allo specchio». E il destino di lei è stato di non essere mai riconosciuta. Con la consueta maestria Zweig ci trascina nel labirinto di un amore assoluto, regalandoci lo straordinario ritratto di una donna viva, vera e appassionata che è al tempo stesso una «creatura invisibile», immateriale «come una musica lontana».