Quest’anno oltre al 150° dell’unità d’Italia, ricorre anche il centenario della «seconda guerra coloniale» italiana cioè quella di Libia del 29 settembre 1911, che a sua volta avveniva durante i festeggiamenti del cinquantesimo dell’unità nazionale. Non è facile oggi parlare di guerre coloniali e persino la ricostruzione storica di questi eventi si presta spesso a strumentalizzazioni di ordine politico internazionale. Sotto il profilo storico-interpretativo sarebbe un grave errore giudicare le guerre coloniali con criteri che appartengono alla nostra attuale cultura e sensibilità giuridica, stravolgendone quindi il significato e decontestualizzandone l’evento. Questo però non significa che il fatto storico non vada sottoposto a interpretazione critica, e riconoscere e condannare gli sbagli e gli eccessi compiuti da parte dei cosiddetti eserciti «civilizzatori».
Nelle guerre coloniali del XIX e XX secolo, condotte dalle maggiori potenze europee, l’elemento religioso è stato spesso utilizzato in modo strumentale per convincere le popolazioni indigene sull’utilità e necessità storica dell’impresa, volta, si diceva, a importare in quei Paesi la civiltà e la cultura occidentale e i benefici economici e sociali legati ad essa. Il libro tratta dell’utilizzazione strumentale che della materia religiosa, in tal caso dell’islàm, fecero in Libia i capi militari e civili italiani dell’impresa militare, mentre in Patria l’impresa fu a volte interpretata da una parte del clero e da una certa cultura cattolica con i toni «infervorati» della guerra religiosa. Posizione che fu energicamente condannata dalla Santa Sede, e in particolare da Papa Pio X, che per fugare ogni possibile dubbio sulla questione, fece pubblicare sull’Osservatore Romano una Nota di biasimo di tali fuorvianti interpretazioni. Più volte, inoltre, il Pontefice, come risulta dalle carte dell’Archivio Segreto Vaticano, richiamò, anche personalmente, alcuni alti prelati e vescovi residenziali a maggior moderazione nelle loro esternazioni a sostegno «della guerra coloniale», e a mantenere in tale delicata materia un atteggiamento imparziale come si addice, commentava amaramente il Papa, a Pastori, chiamati a pacificare e non a fomentare o giustificare una guerra di conquista.