Accade a volte, per un caso o forse per un imperscrutabile destino, che le menti migliori di un'epoca si concentrino in un unico luogo, facendolo diventare così il centro del mondo. Negli anni venti e trenta del Novecento questo luogo fu Parigi, "il posto migliore dove essere giovani ", la città ideale per "vivere da geni". Qui si ritrovarono Hemingway e Fitzgerald, Pound e Eliot, Faulliner e Auden, Apollinaìie, Breton, Gide, Gertrude Stein, Beckett, Benjamin e Valéry. E più tardi Sartre, Simone de Beauvoir, Lacan e lui, James Joyce, alla ricerca di un editore per il monumentale romanzo che stava terminando. Il loro punto d'incontro era una piccola libreria in rue de l'Odèon, Shakespeare and Company, fondata da una giovane americana approdata alla Ville Lumière nel 1916, appassionata di letteratura e tenace sostenitrice di nuovi talenti: Sylvia Beach. Fu lei a intuire con lungimiranza il genio di Joyce e a pubblicarne l'opera capitale, "L'Ulisse", che molti illustri editori avevano in precedenza bollato come "incomprensibile" e "oscena". Ma Sylvia fu per Joyce molto più che una semplice editrice: a lui consacrò i dieci anni migliori della sua vita, incoraggiandolo, finanziandolo e promuovendolo presso il pubblico e la critica.