Il nero delle notti in Vietnam è solido, è un buio che ti si appiccica addosso. Cammini in fila, ti hanno ordinato di metterti in marcia per fare un'imboscata, ma quello che ti preme di più è non perdere di vista i compagni, non rimanere solo in mezzo alla boscaglia, dove ogni cespuglio può nascondere un nemico. Sei come un bambino nella foresta degli spettri, e sapere che sono dei Charlie non li rende meno spaventosi. Tim non avrebbe mai pensato di trovarsi lì. Cresciuto nel Minnesota, in una cittadina che si vanta di essere la capitale mondiale del tacchino, voleva andare al college, e fino all'ultimo aveva accarezzato l'idea di disertare. Ma poi, per non perdere la faccia di fronte ai suoi concittadini, decide di andare. Addestramento a Fort Lewis, da dove, dice Tim, bisogna partire per capire il Vietnam, sbarco come "Fucking new guy", fottuto pivellino, giornate in spiaggia, birra e donne come essere in vacanza, poi la prima linea, i cecchini, i compagni colpiti da una mina sotto i tuoi occhi, le pallottole che ti sibilano nelle orecchie, ti trapassano l'elmetto, ma tu sei ancora vivo. La paura che ti tiene in vita, ma che devi nascondere, gli amici che ti fai e quelli che perdi per sempre. E i vietcong, che sono ovunque e, se ne fai fuori uno, ce n'è un altro che lo rimpiazza, e che l'America non vincerà la guerra lo capisci perché non combatti per conquistare della terra, perché appena ti sposti perdi quello che hai occupato il giorno prima al prezzo di tante vite umane.