Una prima, corposa, sezione del numero è dedicata poi all’impunità di cui, nel nostro paese, hanno goduto e godono politici, imprenditori, mafiosi, appartenenti alle forze dell’ordine... Impunità che, minando la fiducia nello Stato e nella giustizia, rappresenta un vero e proprio vulnus alla democrazia del nostro paese. Luca Tescaroli ci parla del caso dei colletti bianchi, forse quello che maggiormente esprime la profonda disuguaglianza della nostra società. Checchino Antonini ripercorre alcuni dei casi più celebri di ‘malapolizia’, evidenziando come spesso lo spirito di corpo prevalga sulla tutela dei diritti. Marco Lillo ci racconta l’impunità della mafia, da sempre capace di annullare o attenuare l’azione repressiva dello Stato entrando in rapporto con la politica. Gianni Barbacetto e Marco Maroni ci portano per mano in un viaggio nel mondo dei condoni tra Prima e Seconda Repubblica, mentre Paolo Ielo illustra la difficoltà di punire i reati contro la pubblica amministrazione, mettendo in luce come a questo scopo serva un deciso intervento da parte del legislatore. E impunità, come ci racconta Caterina Malavenda, è anche quella di cui gode chi, per mettere a tacere un giornalista scomodo, si fa scudo delle cosiddette ‘querele temerarie’ senza andare incontro ad alcun tipo di conseguenza.
Una seconda parte del numero è dedicata al fenomeno mafioso, in grado di passare indenne per 200 anni di storia, grazie a quella capacità di mutare pelle ogniqualvolta necessario, per mantenere inalterata la capacità di infiltrare la società italiana, da Nord a Sud, e non solo, come raccontano Petra Reski (che traccia un quadro della situazione in Germania) e Stefania Pellegrini (che si concentra sulle mafie nel Settentrione). Quello che ci offre Saverio Lodato è invece uno sguardo disincantato sulla questione, che spazza via ogni illusione di essere – o di essere stati – sul punto di sconfiggere definitivamente questa piaga. D’altronde le classi dirigenti italiane non hanno mai affrontato seriamente l’aspetto che rende la mafia così forte: il suo rapporto con lo Stato. Un atteggiamento del quale sono emblematici da un lato il caso Andreotti, ricostruito da Gian Carlo Caselli, dall’altro i decenni di depistaggi, anomalie, ‘distrazioni’ attorno ad alcune delle stragi più sanguinose della nostra storia recente, di cui ci parlano Fiammetta Borsellino e Salvo Palazzolo. E se la politica non è stata capace di fare la sua parte, oggi anche il movimento antimafia è a un bivio, come denuncia Danilo Chirico: o trova il modo di uscire dalle stanche ritualità o è destinato a morire. L’unica vera barriera è rappresentata dall’informazione, quell’informazione che – prima della magistratura – ha svelato il verminaio mafioso di Roma Capitale, qui ricostruito nei minimi dettagli da Lirio Abbate e Giovanni Tizian. E che, per aver svolto con responsabilità il proprio dovere, vive sotto le minacce dei mafiosi, come ci raccontano tre giornalisti sotto scorta: Michele Albanese, Paolo Borrometi e Sandro Ruotolo.