Difficile per Zahra, giovane libanese, volersi bene quando i primi a non darle affetto sono stati i genitori: il padre, autoritario e brutale, sempre pronto a biasimarla, e la madre, che per anni si è servita di lei, bambina, per coprire i suoi incontri clandestini con l’amante. Difficile per lei rispettare il proprio corpo o provare piacere quando quel corpo è stato usato senza amore e ora fa di lei una donna “immorale”.
Stretta in una morsa tra la famiglia soffocante e un matrimonio sbagliato, che non le ha aperto la tanto sperata via di fuga, Zahra si chiude sempre più in una solitudine muta e autolesionista, mentre il suo disagio viene bollato come pazzia.
Finché, nella Beirut martoriata dalla guerra civile, ritrova inaspettatamente se stessa e la libertà. E questo grazie all’incontro con un cecchino, uno degli uomini senza volto che dall’alto dei tetti decidono in maniera arbitraria dei destini altrui. È nel rapporto con quel “dio della morte” che Zahra riscopre in maniera paradossale la vita. È in quella relazione clandestina, iniziata come violenza e continuata come ossessione irrinunciabile, che conosce a suo modo l’amore e la speranza nel futuro. Ma potrà essere solo una pace fragile, segnata com’è dal senso di colpa e dall’incubo di quei tempi folli.
Le cicatrici sul corpo di Zahra sono quelle di un paese devastato; il grido nella sua mente, quello di ogni donna oppressa; il suo ritratto, un romanzo dirompente sugli effetti irreversibili della violenza.