Basta leggere le prime righe di questo racconto – dove si staglia la Napoli di fine Settecento, «raccolta entro un silenzio incantato» e simile a uno «squisito villaggio» – per respirare l’aria lieve ed esaltante del Cardillo. E l’impressione di una stretta affinità fra i due testi diventa certezza non appena facciamo conoscenza con la tredicenne Florida, che nel «diamante doloroso» del volto, di lunare bianchezza, reca le stimmate degli esseri appartenenti a un mondo celeste e inviolabile, che forse vivono qui sulla terra solo «per scommessa o per scherzo». Per di più Florida, così preziosa da sembrare irreale o sovrumana, è il frutto della triste unione dello scultore belga De Gourriex con la fredda figlia del guantaio don Mariano Civile, Ferrantina, che dopo la morte del marito e la rovina della prospera azienda paterna si è ritirata in due stanzette sui fioriti gradoni di Chiaia. L’indubbia parentela col Cardillo, tuttavia, non deve trarre in inganno: benché rimasta inedita, la storia «un po’ magica» di Florì e del suo sconfinato amore per il pallido e assorto principe Cirillo, nipote del re – storia, insieme, di un’intesa che precede i loro incontri e la loro stessa nascita –, non è né un abbozzo né un semplice incunabolo del romanzo: è un’opera compiuta, di fulgida bellezza. E il dolore che la pervade – «antico» e «caro» come ciò che amiamo ed è già, da sempre, perduto – è destinato, non diversamente dalla voce del Cardillo, a non lasciarci mai più.