«Memori delle tirannie che l'avevano mortificata, nella seconda metà del Novecento abbiamo amato il carattere esaltante della libertà come liberazione da ogni catena. Ma ora che finalmente abbiamo raggiunto tale condizione, nuove ombre si allungano attorno e dentro di noi». A cinquant'anni dalla «primavera in cui le strade e le piazze del nostro paese risuonarono del vibrante grido di libertà», quel concetto delicato e prezioso, coltivato dalla generazione dei baby boomer, è a rischio di collasso. La sempre maggiore richiesta di sicurezza, la ricerca di qualcuno o qualcosa in grado di restituire un po' di ordine, rischiano oggi più che mai di farci sacrificare la tanto agognata libertà e di indebolire le basi di solidarietà, tolleranza e fratellanza su cui la nostra società si fonda. Avremmo bisogno, sostiene Mauro Magatti, di una libertà che sappia essere responsabile, una libertà capace di indignazione, dedizione, affezione, in grado di non rinchiudersi nella consolazione di un godimento solipsistico ma di creare nuovi legami, una libertà che sappia ricostituire luoghi e processi di produzione di senso collettivo. E poiché la libertà va allenata, individualmente e collettivamente, ecco allora cinque «movimenti» che, come una ginnastica, possono aiutarci a sbloccare ciò che si sta intorpidendo. Primo: dire no, opporsi, resistere, dissentire. Secondo: coltivare lo spirito di iniziativa. Terzo: farsi ingaggiare, senza farsi imprigionare. Quarto: lasciare andare. Quinto: far circolare la libertà. Perché la libertà è una sfida, eccitante, complessa, quotidiana, che non riguarda mai solo l'individuo, ma ogni relazione che prende forma negli ordini sociali, culturali e politici. È un delicato equilibrio che, come acrobati su un filo sottile, possiamo raggiungere solo mettendo da parte la paura di cadere.