Questo il vero nodo del profetismo turoldiano: non il lamento, la deprecazione, non la divinazione, il bisogno piuttosto di chiamare la storia in giudizio. Che sei?, dove vai?, perché sei così?, sei una deriva che va avanti casualmente, o mossa da forze "ulteriori", non umane? Sei o no qualcosa su cui si può incidere? Sei un insieme di responsabilità in cui tutti siamo colpevoli nello stesso tempo, o in cui siamo forse innocenti perché già plagiati da altrui colpe? Questo è l'incalzare delle domande che si ricava seguendo l'ininterrotto processo turoldiano alla storia, secondo un disegno di massima evidenza appunto biblicoprofetistica. In tale senso la parola, essendosi ulteriormente espansa, può e deve entrare in contatto con i temi dell'attualità: incalzare la cronaca, arroventare i personaggi mentre sempre più rovente si fa l'io, assumersi infine la responsabilità di porsi anche come utopia.