Un ricordo d'infanzia, rimasto sopito per anni, è la scintilla che ha riacceso in me quel desiderio, che credo sia nell'animo di ognuno di noi, e talvolta, diviene irrefrenabile, di scavare nel tempo, come in un sito archeologico, per riagganciarci, sia pure con un lungo filo virtuale, alle nostre origini. E, da Fiorella, la ragazzina occhialuta dalle lunghe trecce color tabacco, oramai lontana nel tempo, con il suo ossessivo epiteto, Marina Foglia, foglia, foglia, e dal ripetersi di tale travisamento del mio cognome in tutto l'arco della mia vita scolastica, ed anche oltre, partono le linee di questo mio racconto. Spunta, cosí, quello, che considero il mio avo, il ghibellino Salinguerra Torelli, signore di Ferrara, colui, che sembra abbia pronunciato il fatidico motto “fui ero”, che tradotto in Italiano divenne Folliero, nel momento in cui attirato in città per la conclusione di un trattato di non belligeranza venne proditoriamente arrestato dagli estensi e confinato a Venezia, dove morí. Siamo in pieno medioevo e le fazioni guelfa e ghibellina si contendono il governo di Ferrara, che pur di proprietà della Chiesa di Roma, è retta da un governatore, che a seconda del momento, viene eletto dal popolo nella famiglia dei Torelli o in quella degli Adelardi, rappresentanti, appunto, delle due avverse fazioni. Il testo da cui ho tratto le notizie fondamentali per la stesura di questo mio raccontare è la “Istoria genealogica della famiglia Fuiero detta volgarmente Folliero”, scritta dall'abate napoletano Scipione Di Cristoforo nel 1746. È da questo testo che ha inizio la storia di Marchesella Adelardi, promessa sposa di un rampollo dei Torelli, che viene rapita su commissione degli Estensi dalla casa di quello, dove la fanciulla viveva dopo la morte di Guglielmo Adelardi, proprio in virtù di un trattato di pace intercorso tra le due famiglie, al fine di impedire che la città cadesse in mano agli Estensi.