Il Pervigilium Veneris, un componimento adespoto e non datato in 93 settenari trocaici, descrive la veglia di una festa religiosa, che si terrà in Sicilia, a Ibla, in onore di Venere, la dea che promuove l'amore concorde e della quale si tessono gli elogi. Il carme si apre con l'esaltazione della primavera e dell'amore e il poeta, con soave abbandono, canta le gioie della primavera congiunte con le gioie dell'amore: il verso che proclama l'imminenza e l'universalità dell'amore, cras amet qui numquam amavit quique amauit cras amet, apre e sigilla il carme, scandendo anche le dieci strofe che segnano i tempi del rito e del mito; ma nella chiusa il poeta, con malinconica sensibilità, oppone alle immagini di amore totalizzante la propria condizione di persona esclusa, negata alle feste dell'amore e del canto, nuova Procne dalla lingua recisa che non sa farsi rondine e recuperare la gioia del canto. Con sottile malinconia, che lo rende incredibilmente attuale, si chiede quando verrà per lui primavera, quando potrà anche lui porre fine al suo silenzio.