Al circolo Parioli di via Tiziano era per tutti "Ascenzietto", il figlio del custode. Eppure, nonostante un'infanzia vissuta sui campi da tennis e in mezzo alla banda di "ragazzacci" di Nicola Pietrangeli e Bitti Bergamo, l'incontro di Adriano Panatta con lo sport che avrebbe segnato la sua vita è stato soprattutto un caso, io volevo fare nuoto, ma i corsi erano già chiusi. "Ti ho iscritto al tennis" mi disse mio padre. "Vabbe"' risposi. Lui ebbe un colpo di genio: prese una racchetta dismessa dal circolo e ne tagliò un pezzo con la sega consegnandomi una racchettina, attrezzo che a quei tempi non esisteva. Poi pitturò una rete sul muro e per terra delle righe che tracciavano un campo, io facevo il resto, immaginando grandi partite, nelle quali, non so come, ero sempre io a battere il muro." Adriano Panatta si racconta, e nei suoi ricordi rivivono il jet set di una Roma che oggi non c'è più, sorniona, fresca e godereccia, e quel tennis anni Settanta di cui proprio Adriano fu inventore, capo cordata, locomotiva. Grazie al suo gioco solare e mediterraneo, che rispondeva per la prima volta al bisogno di stupire e divertire il pubblico, gli italiani scoprirono in massa uno sport che in molti, fino ad allora, consideravano un passatempo per pochi. E fu grande amore.