"Poemetto gastronomico e altri nutrimenti" di Tomaso Kemeny è un libro strano: da un lato pare una sorta di canzoniere-poema in cui tutta la realtà viene sottoposta alla prova della poesia: le persone amate, i poeti maestri, le ritualità cosmiche. Dall'altro manifesta un fluire narrante, apparentemente stralunato, in cui il libro si rivela una sorta di convivio dove immagini, ricordi, visioni si incontrano secondo un moto ondoso, creando una specie di moderna satura. Dallo sberleffo al desiderio del sublime (desiderio però controllato da un'ironia obbligatoria in questi casi), all'abbandono commosso di fronte a realtà concrete: elementari, non quotidiane. E in tal senso la prima parte del libro, il compatto "Poemetto gastronomico" che all'opera dà il titolo, si rivela il luogo di massima originalità. La lezione del Byron eroicomico, quello del Beppo e del Don Juan, attingente ai modelli italiani del Boiardo e del Pulci, si manifesta in Kemeny in forma di festosa poesia sul cibo e sulla gioia del vivere, un divertito canto alla vita che, nella sua piena felicità, porge la chiave per interpretare la seconda parte. Dove i nomi dei poeti amati e delle persone, i sogni notturni e cosmici di armonia celestiale, rivelano la loro natura malinconica, sempre confortata da un sorriso, realtà rara in poesia.