Una vita "non serena, ma fortunata e felice". Così Eugenio Scalfari riassume il bilancio della propria esistenza, in un racconto che l'abbraccia per intero. Dalla casa dell'infanzia a Civitavecchia, con il balcone che guardava il mare, alle aule del liceo Cassini di Sanremo, dove, complice il compagno di banco Italo Calvino, "il viaggio ebbe il suo consapevole inizio". E poi gli anni dell'università e il primo lavoro di giornalista per "Roma Fascista", svolto con un piglio critico che gli valse l'espulsione dal GUF. C'è l'incontro con Pannunzio e Benedetti, l'attività politica, la lunga avventura de "la Repubblica", i viaggi "fuori e dentro di sé". Ci sono gli affetti, gli amori. Spesso, nei suoi libri, Scalfari ha incluso frammenti della sua biografia, usandoli come spunto su cui innestare le sue lucide meditazioni. Ma in questo scritto il ricordo assume per la prima volta un valore autonomo: lo scopo non è più riflettere, ma raccontare. Anche la storia del Paese resta sullo sfondo. "Racconto autobiografico" è semplicemente quello che dice: il ritratto in movimento di un uomo, la cronaca della sua esistenza eccezionale.