Sullo sfondo – come in un campo lunghissimo di John Ford o di Sergio Leone – le montagne dell’Arizona, che sembrano «racchiudere il mondo da tutti i lati»; in primo piano un uomo a cavallo, che percorre la pista che conduce alla statale per Tucson: il «Grande Passaggio, attraverso il quale, allorché non esistevano né treni né automobili, erano transitati uomini e mandrie, e buoi, cavalli e carri a migliaia». Oggi, 7 ottobre 1947, l’uomo a cavallo, John Evans detto Curly John, il rispettato proprietario del ranch della Giumenta perduta, compie sessantotto anni, ma in sella si tiene ancora ritto come quando ne aveva venti. Come quando lui e il suo amico Andy Spencer erano arrivati nel selvaggio Ovest in cerca di fortuna. C’è un punto della pista dove, ogni volta che ci passa, a Curly John sembra quasi di «provare il dolore di quel giorno»: trentotto anni prima, lì ha ucciso Romero, il messicano che qualcuno aveva pagato per farlo fuori. Dopo, tutto è stato diverso: Andy, il suo grande amico, che Curly John sospetta di essere il mandante del tentato omicidio, è diventato per lui «l’Innominabile». Ma il caso – una vendita all’asta in cui quasi a malincuore Curly John entra in possesso di un vecchio baule – cambierà le carte in tavola. L’amicizia virile, la vendetta, il perdono; e le miniere, il deserto, i saloon e le case da gioco: gli elementi del buon western ci sono tutti, e con questi Simenon ci offre una sua personale, avvincente variazione sul tema.