«Mia madre dava l’impressione di essere un meccanismo rotto. Non era malata, ma una parte di lei aveva ceduto ... Le parti integre e quelle compromesse si mischiavano di continuo ed era arduo distinguerle. Nonostante fosse afflitta da una notevole mancanza di memoria, vi erano particolari che ricordava perfettamente». Così inizia Ricordi di mia madre, dove Inoue ha celato, con pudore, il suo lato più intimo e dolente. E non possiamo che ascoltare partecipi quella voce che ci spiega come la donna «aveva incominciato a cancellare a ritroso, con una gomma, la lunga linea della sua vita», del tutto inconsapevolmente, «perché a tenere in mano la gomma era quell’evento ineluttabile che è la vecchiaia». Vecchiaia su cui Inoue ci offre, con questa «opera in tre tempi», pagine fra le più intense che abbia scritto, dove riesce a trovare la misura perfetta, con una delicatezza di tratto che nulla concede all’effusione sentimentale, per raccontare un lento congedo, raffigurare angosce primordiali ed evocare immagini che si incidono nella memoria. Come quella dell’anziana donna che vaga di notte nella casa del figlio, senza che sia possibile sapere se ora, nella sua mente, lei è la madre alla disperata ricerca del bambino perduto o la bambina smarrita che cerca la mamma. Ha scritto Mitsuo Nakamura: «Certamente, per scrivere questi racconti vibranti di pietà filiale, l’autore ha avuto bisogno dello stesso coraggio morale che ad altri ha ispirato la rivolta, fino a chiedersi quale significato abbia il sentimento, in certo modo innaturale, che induce un figlio ad amare i genitori. La poesia di quest’opera è forse la risposta».