La scrittura è una parte centrale del percorso artistico di Michelangelo Buonarroti: per tutta la sua vita, infatti, l'artista ha composto, senza mai pubblicarle, centinaia di poesie. Scritte sul retro di conti, ricordi di spese, lettere proprie e altrui, accanto a schizzi a penna o a matita che ritraggono braccia, volti, studi di nudo, poi ricopiate in bella da lui, o da altri, a volte variate, tagliate, numerate, queste composizioni testimoniano la costanza della sua ricerca stilistica e la fecondità della sua immaginazione. C'è una continuità evidente tra le Rime e le altre sue opere: una medesima tensione verso la bellezza, la forma e l'eros, lo stesso disagio intellettuale nel conciliare unità e molteplicità; un'identica, tormentata, sensibilità religiosa. La poesia di Michelangelo rivela, come scrive la curatrice Paola Mastrocola, "il dissidio dell'uomo rinascimentale, preso in mezzo tra Medioevo e Controriforma"; e proprio questo dissidio si trasforma sulla carta in energia fertile e slancio creativo. Nelle Lettere, invece, la scrittura torna ad avere una funzione pragmatica: privi apparentemente di ambizioni letterarie, questi testi sembrano rispondere unicamente a necessità e bisogni della contingenza e contengono per lo più fatti, legati alla biografia dell'autore.