Rosvita, l’umile suora di Gandersheim – come ella stessa amava definirsi – appare come una figura straordinaria nella letteratura altomedievale, rara avis nei cieli di Sassonia, per citare le parole del monaco benedettino di Clus, Enrico Bodo. Voce altisonante nella Germania del X secolo, grazie alla creazione di un teatro cristiano sul modello di Terenzio e alla composizione di poemetti edificanti e panegirici imperiali, Rosvita - le cui opere furono scoperte da Conrad Celtis nel 1493 - venne entusiasticamente celebrata dagli umanisti tedeschi come l’undicesima Musa, la più grande poetessa dopo Saffo. Autrice feconda di migliaia di versi in latino, sperimentatrice di più generi letterari, taluni all’epoca inconsueti come le commedie, ella illumina il secolo con le sue opere, scritte nel breve arco di tempo tra il 962 e il 968, spaziando dall’agiografia al teatro, dall’inno religioso ai carmina epico- storici. La sua attività fu strettamente legata alla corte ottoniana, tramite le sollecitazioni della badessa Gerberga, nipote di Ottone I, e il probabile incoraggiamento dell’arcivescovo Brunone di Colonia, fratello dell’imperatore. La sua figura si inscrive in quel rinnovamento culturale patrocinato dalla Casa di Sassonia e favorito anche dalle figure femminili che affiancarono gli imperatori, nel promuovere lo studio delle lettere e il culto della memoria. Il volume, attraverso la figura di Rosvita, offre anche uno spaccato dell’epoca ottoniana, animata da una intensa vita culturale di corte, con fecondi contatti con gli ambienti monastici.