“La favola del nonno, la favola della nonna, la favola dei cavalli da corsa, la favola della maestra severa, la favola delle sfilate in uniforme da Balilla, la favola del tuffo nello Stagnone, la favola delle sere a Capo Boeo o Lilibeo, la favola di mio padre e Nuzzo in bicicletta con la lettera d’amore e dell’abbuffata di ricotta, la favola di Nuzza partita sposa per l’America a Detroit. E poi c’era la mia favola preferita, e cioè la favola dei due soldati dell’Afrikakorps.”
Sicilia, o cara è il viaggio di Giuseppe Culicchia bambino, un viaggio preceduto dai racconti del padre e soprattutto dall’immaginazione che quei racconti hanno acceso. Ed ecco allora l’arrivo alla stazione di Torino, il treno che taglia di netto l’Italia, la nebbia che dirada, i paesaggi al di là del finestrino, le prime avvisaglie di odori e colori.
Quando il piccolo Giuseppe arriva in Sicilia, le fiabe prendono vita, i racconti diventano volti, città, parole. Palermo, Trapani e finalmente Marsala, dove i parenti lo accolgono con una frase che diventa formula di rito – “Ma tu Peppe sei! Peppe come tuo nonno Giuseppe Culicchia! Pippinu! Pippinu Piruzzu!”. L’orizzonte si allarga sul mare e Torino sembra appartenere a un’altra vita.
Giuseppe Culicchia mette in gioco la propria memoria e si affida allo sguardo di un bambino – innocente, curioso, pieno di meraviglia – per raccontare un viaggio che non ha ancora terminato.