"In fondo, chi può stabilire se questi tempi siano o meno tristi? Ovviamente: chi li vive. Chi li attraversa e li valuta. In questo caso, la mia tristezza dipende e deriva dalla 'mia' difficoltà ad accettare quel che mi avviene intorno. Faccio fatica e anzi non riesco a riconoscermi in questo territorio informe, in questa plaga immobiliare per me senza senso; dove le relazioni personali sono povere e rarefatte, dove le persone si chiudono e si isolano, comunicano attraverso i cellulari, internet, i social network, dove le paure sono le lenti degli occhiali con cui guardiamo gli altri e il mondo, dove il mondo e gli altri arrivano nelle case e agli occhi delle persone attraverso i media, dove la politica è antipolitica, dove i partiti non sono più idee e associazioni ma leader e oligarchie, senza idee e senza associazioni; e vivono a pieno tempo nei telesalotti. Fatico a orientarmi dove gli stranieri appaiono nemici, dove anche gli altri appaiono nemici. Perché tutti diventano stranieri - e potenzialmente nemici, altri da noi - in un mondo e in un territorio che non conosciamo e in cui non ci riconosciamo. Per questo ho - e, forse, abbiamo - bisogno di bussole. Per procedere e orientarsi nella nebbia, cognitiva ed emotiva, prodotta dal nostro tempo. Almeno ai nostri - miei - occhi."