Per i Greci del tempo di Socrate, il sogno è il prodotto - e insieme il compagno segreto e inseparabile - di un'entità invisibile, racchiusa dentro ogni essere umano, chiamata "anima" (psyche). L'anima è il vero io, e Socrate dice che "bisogna prendersi cura di lei più di ogni altra cosa". E il sogno è la prova che l'anima ha in sé "qualcosa di divino". Quando il corpo giace nel sonno, l'anima ascolta voci prodigiose, percepisce odori soavi, scorge una luce meravigliosa, e le figure sacre appaiono maestose e benevole. Per Pietro Citati, la rappresentazione greca del sogno è molto più vasta, libera, mobile e polimorfa di quella - arida, schematica - degli psicologi moderni. Per fortuna, negli ultimi due secoli la mente umana è stata salvata dai grandi scrittori, come Proust e Kafka. Con un'attenzione delicatissima ai "segni dell'anima", Citati rintraccia in Chateaubriand, Jane Austen, Balzac, Stendhal le "immagini della morte", l'ombra che accompagna il cammino di ogni uomo. Nella scrittura di Nerval, Flaubert, Hawthorne, Nietzsche scorge l'immagine riflessa di una zona superiore che domina sia i campi beati e furiosi della Follia, sia quelli aguzzi e lancinanti della Ragione. E in fondo ai libri di Cechov, Conrad, Virginia Woolf scopre quel "passeggero clandestino" che sta rinchiuso nel cuore di molti di noi e compie le azioni che non osiamo commettere. Citati è convinto che la psyche dei Greci, grazie al potere formidabile dei sogni, agisca in tutte le epoche e non solo nella letteratura.