Gli ultimi due secoli di storia della comunità ebraica romana, la più numerosa e antica d'Italia, sono caratterizzati dai profondi - e talvolta drammatici - mutamenti nelle relazioni fra la maggioranza cristiana della Città Eterna e questa piccola minoranza, che, nel volgere di convulsi decenni, ha conosciuto l'emarginazione e l'inclusione, l'integrazione e, in seguito, la discriminazione e lo sterminio. Nella prima metà dell'Ottocento, i timidi segnali di emancipazione degli ebrei visibili nelle società europee più avanzate si manifestano anche a Roma, dove per una breve stagione la repubblica si sostituisce al dominio pontificio. E solo dopo l'unità d'Italia che nella nuova capitale del regno si avverte chiaramente un'impetuosa ondata di cambiamento: gli ebrei iniziano a partecipare con grande passione alla costruzione del Paese che, in virtù del tributo di sangue da essi versato sui campi di battaglia del Risorgimento e della Grande Guerra, considerano a pieno titolo la loro patria. La Chiesa di Roma, tuttavia, sconfitta ma non rassegnata, addebitando l'oltraggio di Porta Pia a un complotto di forze anticattoliche rilancia la propaganda antigiudaica e rinnova contro gli ebrei le tradizionali accuse di deicidio e di omicidio rituale, fornendo argomenti e alibi sia ai ricorrenti episodi di violenza antigiudaica sia all'antisemitismo moderno, che condanna senza appello l'ebreo alla sua presunta identità razziale, negandogli ogni reale possibilità di assimilazione. Esito e culmine di questa martellante campagna d'odio è la pagina nera - vergognosa e incancellabile - delle cosiddette «leggi razziali», promulgate dal regime fascista nel 1938 come atto di adesione all'ideologia del Terzo Reich hitleriano, che sanciscono l'esclusione degli ebrei dal corpo vivo della società italiana. Accolte dapprima con indifferenza e senza un'esplicita protesta della Santa Sede, dopo l'8 settembre 1943 tali leggi spianano la strada alla deportazione ad Auschwitz e alla morte di oltre 2000 ebrei romani. E anche se molti italiani e una parte del clero si riscattano, creando a proprio rischio e pericolo una vasta rete di solidarietà a favore dei perseguitati in fuga, molte ombre continuano a gravare sul silenzio di Pio XII (a cui Riccardo Calimani dedica un'ampia e lucida analisi), che non condannò mai apertamente lo sterminio, pur essendone informato da diversi prelati dei Paesi in cui venne perpetrato. La segreta, ma ferma speranza dell'autore è che questo racconto «sia fonte di ispirazione, affinché tutti i popoli, nessuno escluso, in ogni parte del mondo, sappiano trovare la via della concordia e della giustizia, e possano vivere insieme su questa terra, se non con gioia, almeno in pace fra loro»