Con questo Tracce, proviamo a fare un altro passo di un percorso. Nell’ultimo numero ci chiedevamo che cosa permette di far crescere persone in grado di reggere alla confusione di oggi, all’urto di una realtà che si fa così caotica da mettere paura, a volte, e far scattare la voglia di tirarsi indietro. Per rispondere alla grande emergenza educativa, dicevamo, servono luoghi capaci di generare, non rifugi in cui mettersi al riparo dalle onde. E ne indicavamo qualche esempio.
Ora ci spostiamo più in là. Con altre domande. Un “io” che accetta di giocarsi la partita, di uscire nel mare aperto del reale e affrontare senza remore l’intreccio di problemi di cui è fatta la vita – dai grandi scenari politici, che prospettano tempeste in arrivo, ai rapporti quotidiani: i figli, l’ufficio, i colleghi –, quali strumenti ha per non disperdersi? Come fa a essere certo di qualcosa, a conoscere?
C’è un fatto su cui proprio il caos di oggi regala una certezza inoppugnabile: per conoscere, dati, analisi e teorie non bastano. Se la storia degli ultimi decenni lo aveva mostrato con chiarezza, quella attuale lo conferma senza più ombre di illusioni. Oggi abbiamo a disposizione un oceano di informazioni, letteralmente, e capacità di analizzarle che crescono a ritmi da vertigini. Abbiamo modalità sempre più invasive di raccogliere dati e disponiamo di algoritmi che li elaborano in tempo reale, per dirci con certezza quale volo dobbiamo prendere, che diagnosi potrà firmare il nostro medico o quanti mesi di carcere affibbierà un giudice a un imputato (in certi Paesi è già normale). Insomma, abbiamo informazioni e strumenti di una potenza enorme e per di più, come si usa dire, oggettivi, perché capaci di sterilizzare sempre di più l’incidenza del “fattore umano”.
Eppure, siamo più confusi che mai. Questa “metamorfosi del mondo”, come la chiamava il sociologo Ulrich Beck, ci lascia attoniti e spiazzati. E rilancia proprio quella domanda: cosa vuol dire, oggi, conoscere? E cosa vuol dire farlo da uomini, con una modalità adeguata alle nostre necessità, al nostro bisogno di certezze e di rapporti? E ancora: che contributo può dare il cristianesimo a questa urgenza? Di che diversità parla, per esempio, don Giussani, quando dice che «Giovanni e Andrea, i primi due che si imbatterono in Gesù, proprio seguendo quella persona eccezionale hanno imparato a conoscere diversamente»?
Ecco, in questo numero proviamo a cogliere qualche traccia di risposta. Con il percorso del “Primo piano”, fatto di riflessioni e testimonianze che spaziano dalla grande ricerca scientifica e tecnologica alla vita di ogni giorno. Ma anche con le storie raccontate nella seconda parte del giornale, come il reportage da una comunità che si occupa di disabili puntando tutto sulla loro umanità, la vicenda che ha portato ad allestire un recital della Divina Commedia in uno slum di Nairobi o l’intervista a Valentin Silvestrov, il grande compositore ucraino. Storie in cui il fattore umano della conoscenza emerge in tutta la sua forza. Per aiutarci a capire. E a conoscere.