Fratelli perché figli
«Il miracolo che travolge il mondo è che della gente estranea si tratti come fratelli». La frase a cui si riferisce il titolo di copertina l’ha pronunciata, in un incontro nel 1983, don Luigi Giussani (di cui il 22 febbraio ricorrono sedici anni dalla morte). Diceva che non c’è nulla di più impossibile e desiderabile di questo rapporto nuovo con l’altro. È l’essenza della “rotta umana” che il Papa ci indica con la Fratelli tutti, la sua ultima enciclica.
Ma come è possibile, quando i problemi sono così complessi da soffocare la vita personale e collettiva? La pandemia ha svelato le inconsistenze che già c’erano. E, mentre la politica si frantuma, si allarga la geografia del dramma di milioni di uomini, così immenso da sembrarci irreale. Balcani, Tigray, Siria, Guatemala. L’elenco è lungo.
L’enciclica suscita un’inquietudine davanti ai contrasti, anche i più quotidiani, e pone molti interrogativi, uno di fondo: come “salvarsi insieme” possa non rimanere un’intenzione, uno scenario utopico o uno sforzo, che finirebbe solo in scetticismo.
In un mondo diviso, dove si è persa «l’attenzione penetrante al cuore della vita e non si riconosce ciò che è essenziale per dare un senso all’esistenza», scrive Francesco, non ci possono essere ragioni solide e stabili per richiamarsi alla fraternità «senza un’apertura al Padre di tutti. Soltanto con questa coscienza di figli che non sono orfani si può vivere in pace fra noi. Perché la ragione, da sola, è in grado di cogliere l’uguaglianza tra gli uomini e di stabilire una convivenza civica tra loro, ma non riesce a fondare la fraternità». L’enciclica è un testo ricchissimo come lo sguardo che offre sul mondo. Prima di ogni considerazione, chiede di partecipare della grande provocazione che la Chiesa rivolge a ciascuno.
Con il “Primo Piano” di questo numero vogliamo guardare come accade di ritrovarsi e riconoscersi fratelli. Lo facciamo innanzitutto attraverso la testimonianza della piccola comunità di Taiwan, dove ogni lontananza dall’altro è colmata per un tesoro che si riceve e trabocca: l’incontro vivo con il fatto cristiano. Sperimentare di essere «figli» di Dio, attraverso una compagnia concreta, spalanca a un atteggiamento nuovo: abbiamo colto, in situazioni e Paesi diversi, questa gratitudine che sfonda nel cuore dell’uomo fino a cambiarlo e cambiare i rapporti. Perché «la fratellanza è un fatto universale.
Ma non astratto», come leggerete nel dialogo con l’islamologo Adrien Candiard: «La migliore incarnazione dell’enciclica si farà attraverso piccoli fatti fra le persone». «Questo è il miracolo», ribadiva Giussani in quel raduno: «E questo è ciò per cui siamo stati chiamati».