All’inizio era un ideale. Poi, una specie di miracolo. Ora sembra soltanto un problema. L’Unione Europea, quell’impensabile puzzle di lingue e culture che si è incastrato un pezzo dopo l’altro regalando attese e speranze a 500 milioni di persone, agli occhi di tanti è diventato qualcosa di sempre più lontano, astratto, addirittura ostile. Tanto più alla vigilia di un voto confuso come quello del 23-26 maggio.
I motivi sono tanti. Molti reali, legati ai limiti e agli errori di una realtà che ha perso per strada una buona fetta dell’ispirazione originaria (a cominciare dalla solidarietà reciproca). Ma altri dipendono soprattutto da noi, dalla nostra miopia. Guardi l’Europa e non vedi più che è uno spazio di libertà e pace come non si era mai visto nella storia, non solo dell’Occidente. Il valore attribuito alle persone, l’accoglienza, gli scambi tra culture, l’Erasmus, le frontiere aperte, un mercato comune… Tutto dato per ovvio, per scontato. Mentre non lo è. Non lo è mai stato. Anzi.
La vicenda dell’Unione è una di quelle in cui si capisce meglio che cosa sia la caduta di evidenze che, a torto, davamo per acquisite e condivise per sempre. E in cui si vede con più chiarezza un fenomeno che ci riguarda tutti: se ti allontani dalla fonte che ha dato vita a certi valori di fondo – la persona, il lavoro, la libertà, la stessa democrazia –, da ciò che li ha generati e resi storici, vissuti, quei valori, prima o poi, decadono. Staccati dall’origine, non reggono all’usura del tempo. Da qui la domanda: che cosa c’è all’origine di quei tratti fondamentali dell’Europa? Da dove arrivano, come prendono vita – e come possono riprenderla? E la fede c’entra qualcosa con questo, o no? Attenzione: non si tratta di tornare a dibattere sulle “radici cristiane”, discussione infinita e ormai un po’ sterile. Rifiutarle da parte delle istituzioni europee è stato un errore storico e un peccato di arroganza, non c’è dubbio. Ma è un errore anche fermarsi lì. Il problema non è il rapporto con il passato: è l’ora. Quelle radici sono ancora vive, oggi? E come, dove?
Non è una domanda a cui può rispondere un dibattito. Si può solo andare a vedere, cercare storie, fatti che mostrino quella vita. È la strada che imbocchiamo con questo numero, sulla scia del “Primo Piano” di marzo, dedicato alla politica: indicare, assieme alla riflessione, delle testimonianze. Segni vivi di una presenza cristiana che ha contribuito a creare l’Europa, a farla nascere secoli fa dalle macerie dell’Impero devastato dai barbari e a farla risorgere, in forma nuova, dagli orrori dell’ultima Guerra mondiale. E che offre il suo contributo oggi, per aiutare a tirarla fuori dalla crisi e restituirle il volto che ha avuto negli ultimi sessant’anni: quello di uno spazio di libertà per tutti. Un luogo «dove ognuno può essere immune dalla coercizione, fare il proprio cammino umano e condividerlo con chi trova sulla propria strada», come diceva tempo fa Julián Carrón, guida di CL, in un intervento confluito, poi, nel suo La bellezza disarmata. Erano parole del 2014, vigilia delle ultime elezioni europee. Sono ancora più urgenti ora.