Il tempo del nostro giudizio
01.05.2020
È stato un momento epocale, di quelli che entrano dritti nella memoria per non uscirne più. La piazza vuota, il buio che cala. La pioggia, via via più forte. E un uomo vestito di bianco che, davanti al Crocifisso, invoca Dio usando le parole dei discepoli: «Maestro, non t’importa che siamo perduti?». Non ti importa di me, di noi? Scene simili a quelle che avremmo visto pochi giorni dopo, in una Settimana Santa altrettanto inedita: la Messa in Coena Domini, la Via Crucis, la Pasqua… Tutti ridotti all’essenziale. Il Papa, pochi altri. E la presenza di Cristo.
Ma in quella preghiera di fine marzo, nel grido di Francesco in una piazza per la prima volta deserta, si è aperta anche una strada. Preziosissima, per chi sta provando a seguirla. Perché, come ha detto il Papa, questa situazione mai vista, capace di «smascherare la nostra vulnerabilità», di ribaltare le «false e superflue sicurezze con cui abbiamo costruito le nostre agende», di farci toccare con mano quanto abbiamo bisogno di Cristo Risorto, non è una condanna, uno squarcio di nulla entrato di colpo nelle nostre vite. È un’occasione, grande.
È «il tempo del nostro giudizio». Non «del tuo giudizio», ha insistito Francesco rivolgendosi a Dio con audacia, ma «del nostro giudizio: il tempo di scegliere che cosa conta e che cosa passa, di separare ciò che è necessario da ciò che non lo è». Il tempo della conversione. Dove a questa parola non corrisponde più nulla di moralistico, come se si trattasse di uno sforzo etico: ci viene chiesto uno sguardo. A chi guardare, cosa cercare. È un passo di conoscenza.
Lo hanno detto molti altri in tanti modi, nelle settimane successive, e anche nelle prossime pagine ne troverete degli esempi. Se questa emergenza così drammatica trascorresse senza una nostra presa di coscienza, senza scoprire qualcosa di più profondo di noi e della realtà, sarebbe una sciagura che si aggiunge al peso insopportabile della morte di tanti, del dolore, della paura. Anzi, di più: metterebbe un’altra pietra davanti al sepolcro della nostra umanità. Perché ci lascerebbe smarriti e vuoti, più di prima.
E invece questo «tempo vertiginoso» può essere altro. Può diventare l’occasione per un «risveglio dell’umano», come dice il titolo del libro uscito proprio mentre mandiamo in stampa Tracce. È un’intervista a Julián Carrón, il presidente della Fraternità di CL. Facendo i conti fino in fondo con «l’irruzione potente della realtà», che «ha fatto riemergere in tutta la sua portata quell’esigenza di capire che chiamiamo “ragione”», affronta le domande che ci stiamo ponendo tutti, senza sconti e scorciatoie. Perché è quasi inevitabile che affiorino, ma è una scelta nostra prenderle sul serio.
Così quel libro, in qualche modo, accompagna il tentativo che facciamo anche noi. Nelle pagine che state sfogliando troverete riflessioni, fatti e testimonianze che aiutino a fare dei passi, a sfruttare la circostanza unica che stiamo vivendo, a renderci conto di più di chi siamo e di cosa ha bisogno la nostra vita. Dell’essenziale.