A mano aperta
04.07.2017
Sono parole sempre nuove, anche se le abbiamo già sentite. Perché toccano un punto vivo, una provocazione che ci si para davanti quando si apre l’estate e le giornate si fanno un po’ meno fitte di impegni fissi, obblighi, lavoro. Arriva «il tempo della libertà», come diceva don Giussani già ai primi giessini. Ovvero, «il tempo più nobile dell’anno, perché è il momento in cui uno si impegna come vuole col valore che riconosce prevalente nella sua vita oppure non si impegna affatto con niente e allora, appunto, è sciocco», vuoto. «Quello che uno vuole lo si capisce da come utilizza il suo tempo libero».
Questi giorni, insomma, sono un test: fanno emergere quello che ci sta più a cuore. Lo abbiamo ricordato spesso, su Tracce. Ma nelle parole di don Giussani c’è anche di più. Se sono vere - e ognuno può giudicare quanto lo siano -, vuol dire che le settimane che ci aspettano sono pure un’occasione grande per capire di più che cosa è la libertà. Che dono prezioso, inestimabile, è questa capacità misteriosa che abbiamo di aderire al bene, di domandarlo, di essere disponibili a cercarlo anche nelle pieghe di una realtà che tante volte ci si presenta con dei tratti che non vorremmo (una fatica, un dolore, un desiderio non corrisposto), oppure di dire «no», di chiuderci.
La diamo per scontata, tante volte. Invece è capitale. Perché è questa linea sottile, quasi impercettibile, a disegnare il modo in cui affrontiamo le circostanze. A decidere come viviamo. In fondo, davanti ad ogni momento di ogni giornata, come ricordava di recente don Julián Carrón a un gruppo di responsabili di CL, «ci sono sempre in gioco due concezioni»: quella di chi «già sa», e ha in testa una misura sua, un’idea di come le cose dovrebbero essere (di solito, diverse da come sono...), oppure «il povero, come l’Innominato del Manzoni, talmente consapevole del suo bisogno che è tutto disponibile» davanti alle parole del Cardinale. Il primo, alla fine, «mette la speranza tutta nella sua performance; l’altro si trova ad aspettare tutto da Cristo».
Due atteggiamenti, due modi di vivere, istante per istante. Ma dipende da noi, sempre. Dalla nostra libertà. Possiamo stare «a mano aperta o a mano chiusa», come ha detto papa Francesco ai Cavalieri, i cinquemila ragazzini delle scuole medie, in un’udienza commovente (se ne parla più avanti nel giornale). Possiamo essere disponibili a imparare di nuovo quello che pensavamo già di sapere, e che invece non è più scontato - come vedremo al Meeting di Rimini di quest’anno, a cui è dedicato il Primo Piano -, oppure chiuderci in difesa davanti al «cambiamento d’epoca» e ritrovarci senza armi per affrontare le sfide di oggi: l’educazione, i giovani, il lavoro... Aperti o chiusi. Lo si vede dovunque, in questo numero.
Anche nelle ultime pagine, in quella lettura in cui Ignacio Carbajosa ripercorre il Libro di Giobbe. Un testo bellissimo e sorprendente, dal quale - tra tanti spunti di riflessione - si capisce come Dio affidi la risposta che nessuno può dare (alla domanda sul dolore innocente) proprio alla nostra libertà, al modo in cui stiamo davanti a Lui. Aperti o chiusi. Dipende da noi, ma cambia la vita.