IL LIBRO
Il XX secolo ha lasciato al nuovo millennio un’eredità tragica. La più radicale affermazione di autonomia – di liberazione – dell’uomo che la storia abbia conosciuto, l’umanesimo figlio della modernità, si è risolta nel suo esatto contrario, la riduzione in schiavitù e lo sterminio di milioni di esseri umani sotto il Terzo Reich così come in Unione Sovietica e in Cina, in Cambogia sotto il regime dei Khmer Rossi, in Ruanda e nel Darfur.
Dopo che tutto questo è avvenuto, l’idea di umanità non può più essere pensata innocentemente. Essa ha bisogno di essere concepita in modo nuovo. Secondo Alain Finkielkraut è il compito del nostro tempo, che, assumendolo, non deve però fraintenderne il significato profondo: né una generica compassione né un astratto umanitarismo possono infatti riscattare davvero i mali sofferti dagli uomini e dall’idea di umanità.
Se l’uomo moderno continuerà a essere dominato da quella disposizione affettiva che Hannah Arendt ha definito «risentimento» – verso «tutto ciò che è dato, anche contro la propria esistenza », verso «il fatto che egli non è il creatore dell’universo né di sé stesso», un risentimento che lo spinge a «non scorgere alcun senso nel mondo quale gli si offre» e a proclamare che «tutto è permesso» – allora il XX secolo, con il suo carico di dolore e di morte, sarà trascorso invano.
L'AUTORE
Alain Finkielkraut, nato a Parigi nel 1949, insegna Cultura generale e Storia delle idee al dipartimento di Scienze umanistiche e sociali dell’École Polytechnique. Fra le sue opere tradotte in italiano, ricordiamo il saggio Noi, i moderni, edito dalla nostra casa editrice, e i volumi Che cos’è la Francia?, La sconfitta del pensiero, L’ingratitudine, Una voce dall’altra riva, L’ebreo immaginario.