Legami, identità, limite. Non è aria, a quanto sembra, per queste categorie. Nell’antropologia come nella pedagogia, il trend sembra più indirizzato verso il culto dell’autoreferenzialità, l’elogio della diversità, l’incentivo dell’apertura illimitata e della crescita continua. Eppure, qualcosa sta cambiando. La soggettività moderna, che era partita così sicura, diventa consapevole dei suoi rischi e delle sue incertezze. Nella metropoli cosmopolita si allargano i «deserti dell’anima»: luoghi psichici caratterizzati, a dispetto dell’apparente eccitazione dello scenario post-moderno, dalla freddezza emotiva e dall’amoralità ignara del limite. Non si tratta di opporre a questa deriva un moralismo di complemento, o qualche supplemento d’anima. Né si deve immaginare di doversi allineare alla stucchevole denuncia del nichilismo che avvolge l’Occidente. La comprensione qui è in vista di una più consapevole empatia con le opportunità culturali di un umanesimo non retorico, nello spazio offerto dalla condizione sociale presente. Rimane il fatto che il soggetto autonomo ha imboccato anche la deriva – non necessaria – di un’identità perfettamente autoreferenziale. L’ani-ma, e con essa l’umana coscienza, diviene mente e costrutto mentale; il corpo macchina e organismo biologico. È questa semplificazione – del soggetto, come dell’umano tout-court – che ora ci complica la vita. È precisamente il filo che questo saggio insegue e dipana. L’itinerario della sua ricognizione approda, non per caso, a quella esigenza di cura appassionata per l’umano-che-è-comune, in pensieri e opere (senza omissioni). La misteriosa qualità dell’umano-che-è-comune è la risorsa più decisiva di cui l’individuo dispone. È il fondamento più solido per l’elaborazione della dignità e del senso della propria singolarità esistenziale. Di quell’umano-che-è-comune, ciascuno è ospite non padrone. Esso è il più sicuro referente del bene comune: in grado di giustificare i tratti – non negoziabili e non dispotici – di un patto sociale eticamente vincolante. Alla prova del suo stesso limite.
PierAngelo Sequeri, nato a Milano nel 1944, è docente di Teologia fondamentale alla Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale. È anche direttore del Laboratorio di Musicologia Applicata di Milano. Nell’ambito della sua ricerca e delle sue pubblicazioni in opere e riviste specializzate è prevalente l’interesse per le questioni di confine tra filosofia e teologia, psicologia e teologia, estetica e teologia. Fra gli scritti più recenti: "L’oro e la paglia", Milano 1990; (con A. Torno) "Divertimenti per Dio. Mozart e i teologi", Casale Monferrato 1992; "L’indicibile emozione del sacro: R. Otto, A. Schönberg, M. Heidegger", Milano 1993; "Il timore di Dio", Vita e Pensiero, Milano 1993; "Il Dio affidabile. Saggio di teologia fondamentale", Brescia 1996; "L’estro di Dio. Saggi di estetica", Milano 2000; "Senza volgersi indietro. Meditazioni per tempi forti", Vita e Pensiero, Milano 2000.