In questa bellissima meditazione, un filosofo dibatte con se stesso quanto alla speranza di sopravvivere, trovandosi nell’impossibilità intellettuale e spirituale di acconsentire a qualsiasi visione ingenua di un altro mondo che dovrebbe essere un doppio, o la copia, di questo mondo. È necessario elaborare il lutto di qualsiasi immagine, di qualsiasi rappresentazione.Nel 1996 Ricoeur pone la questione: «Che cosa posso dire della mia morte?». Come «elaborare il lutto di un voler-esistere dopo la morte»? Questa lunga riflessione sul morire, sul moribondo e il suo rapporto con la morte, e ugualmente sul dopo-la-vita (la resurrezione), passa attraverso due mediazioni: testi di sopravvissuti ai campi di sterminio (Semprún, Levi) e un confronto con un libro del grande esegeta Xavier Léon-Dufour sulla resurrezione.La seconda parte del libro è composta di testi scritti nel 2004 e nel 2005, che il filosofo stesso ha chiamato «Frammenti» (sul «tempo dell’opera» e il «tempo della vita», sul caso di essere nato cristiano, sull’imputazione di essere un filosofo cristiano, sulla controversia, su Derrida, sul Padre nostro...). Testi brevi, redatti talvolta con mano tremante, mentre è già molto affaticato. L’ultimo, della Pasqua 2005, è stato scritto un mese prima della sua morte. Paul Ricoeur, grande filosofo del XX secolo, è deceduto il 20 maggio 2005.
Prefazione di Olivier AbelPostfazione di Catherine Goldenstein
Introduzione all’edizione italiana di Daniella Iannotta