Nato verso il 331, morto nel 365 combattendo contro i Persiani, l'imperatore Giuliano fu un drammatico segno di lacerazione nella storia: esecrato dai cristiani (che lo accusarono di "apostasia"), amato da pochi pagani e presto abbandonato dai suoi stessi discepoli. A sei anni, conobbe il trauma del massacro del padre e del fratello, perpetrato su istigazione del cugino Costanzo II. Venne educato dall'eunuco Mardonio; e da allora visse di libri e nei libri, in un'esaltazione intellettuale che trasferì nella vita quotidiana: "Desideri corse di cavalli? Ce n'è una in Omero descritta alla perfezione; prendi il libro e leggilo fino in fondo. Senti parlare di danzatori pantomimi? Lasciali perdere; i giovani presso i Feaci danzano in modo più virile". Era un nevrotico, ansioso, aggressivo, con gli occhi mobili e ardenti, "scintillanti di fuochi siderei", che esprimevano la sua inquietudine. Simile al Sigismondo di Calderón, fatto uscire di prigione per cingere la corona, come poteva non pensare che "la vita è un sogno e che i sogni non sono altro che sogni"? Il grande sogno della sua vita fu la restaurazione della religione pagana: fondata sul neoplatonismo fuso con la teosofia e la teurgia di Giamblico; accesa dall'ispirazione della luce; infuocata dall'ardore cristiano; trasformata in una teologia solare trinitaria. Questo volume degli "Scrittori greci e latini" presenta i suoi capolavori : la "Lettera a Temistio", i discorsi "Alla Madre degli dei" e "A Helios re" e il "Misopogon". I due discorsi sono delle estatiche professioni di fede, delle sontuose omelie liturgiche, degli oracoli immaginosi, delle perfette fusioni di mito e di allegoria filosofica. Nel "Misopogon" la confessione, la predicazione, il disprezzo, l'ironia e l'autoironia amara e sottile, la disperazione si intrecciano a formare uno dei testi più squisiti della tarda letteratura greca.
Indice - Sommario
Introduzione, di Jacques Fontaine
Nota bibliografica
Abbreviazioni bibliografiche
Per l'edizione degli scritti di Giuliano, di Carlo Prato
Bibliografia generale
TESTO E TRADUZIONE
- Siglorum index
- Lettera a Temistio
- Alla Madre degli dei
- A Helios re
- Misopogon
COMMENTO
- Siglorum index
- Lettera a Temistio
- Alla Madre degli dei
- A Helios re
- Misopogon
Prefazione / Introduzione
1. Un segno di contraddizione per gli uomini e per gli dei
Giuliano non ha mai smesso di essere un segno di contraddizione, quanto e ancor più del "Galileo" perseguitato dalla sua vendetta. In primo luogo, per sé stesso. L'"apostasia", con cui la tradizione cristiana ha stigmatizzato Giuliano l'"Apostata", si presta a una riflessione più ampia del suo senso ovvio. Una rilevante quantità delle parole di Giuliano, dei suoi scritti e dei suoi atti, trova senza dubbio la propria ispirazione in questo rinnegamento di un cristianesimo che gli fu imposto innanzitutto dalla tradizione familiare e da una parte non trascurabile della sua educazione. Questo stesso rinnegamento però non fu un atto compiuto con serenità. Rimase appassionato ed inconcluso; nel corso della sua breve vita. Giuliano non è mai riuscito ad imporne le conseguenze ultime ai suoi sudditi, e neppure a una gran parte della sua cerchia.
La resistenza passiva, incontrata dal suo tentativo di decristianizzare l'impero, non dipese solo dall'ampiezza e dalla profondità della cristianizzazione, circa mezzo secolo dopo che Costantino si era convertito. Fu suscitata anche dallo strano paganesimo che l'imperatore aveva intenzione di imporre: quello di una contro-Chiesa pagana, armata di ascetismo, di carità e di devozione, di un rigore dogmatico che nessuna religione antica aveva ancora conosciuto. Questo neo-paganesimo filosofico e moralizzante, anche aggressivo, pretendeva di integrare alle tradizioni religiose quei valori, quelle pratiche e quelle strutture più comuni che nei fatti avevano assicurato al cristianesimo il suo dinamismo e il suo successo. Tuttavia, queste religioni, per la maggior parte di pura adesione collettiva, si potevano trasformare facilmente in una religione unificata e ufficiale di partecipazione personale? Né i cristiani, né i pagani del quarto secolo, a parte poche eccezioni, avevano fatto la stessa esperienza di un'apostasia ponderata come quella di Giuliano, né l'avevano vissuta con una tale profondità, con lo stesso disegno politico di un sincretismo che superasse in qualche modo le due tradizioni, trasfondendo in un paganesimo spesso esangue il sangue fresco di una religiosità di tipo orientale e dunque, in qualche modo, pseudocristiano. Quest'ambizione poco ragionevole tradisce subito la contraddizione di una conversione incompiuta, perseguita dolorosamente come una sorta di apostolato alla rovescia, in mezzo all'indifferenza degli uni e all'ostilità degli altri, più o meno dichiarata e sarcastica.
Lo scontro tra l'imperatore e i suoi sudditi - cristiani o pagani - raggiunge il punto critico ad Antiochia, in tutti i ranghi della società. I cristiani naturalmente furono i più ostinati nell'opporsi alle misure di restaurazione metodica, nelle città, delle religiones tradizionali: la Chiesa cristiana si sentì legittimamente minacciata nella sua stessa esistenza. Come in pieno terzo secolo, l'esercito ebbe i suoi martiri, in molte città dell'Oriente le folle si scatenarono di nuovo contro i cristiani; talvolta in modo subdolo, talvolta cinico, l'epurazione ebbe inizio tra le file dei professori e degli stessi giuristi. Questa persecuzione ufficiale rappresentava un regresso rispetto all'editto di Milano, alla decisione presa nel 313 da Costantino e da Licinio, in base alla quale tutti i cittadini dell'impero si erano visti riconoscere esplicitamente la libertà di praticare la propria religione. Un pagano convinto, come l'ufficiale di stato maggiore Ammiano Marcellino, fu profondamente scandalizzato dall'editto imperiale del 17 giugno 362, che precludeva ai cristiani le funzioni di insegnamento con il pretesto, apparentemente razionale, che essi non erano in grado di spiegare in modo corretto opere dove apparivano tanti dei e miti ai quali non credevano più. Editto "spietato, che bisogna seppellire in un oblio eterno" : il giudizio è tanto più severo in quanto chi lo pronuncia è uno dei più fervidi ammiratori di Giuliano, anzi il suo più caldo panegirista in lingua latina. Questo estremismo settario, manifestato da Giuliano in tanti campi, sia per temperamento sia per convinzione ponderata, non era fatto per sedurre la massa dell'opinione pubblica pagana, né, soprattutto, gli ambienti colti. In questi ultimi, la tradizione religiosa si associava a un senso della misura, anzi a un liberalismo informato secondo un eclettismo aperto, animato da una "filantropia" incompatibile con ogni fanatismo.
Comunque, una minoranza attiva di filosofi, di retori, e più in genere di letterati, non senza grandi riserve rispetto ai mezzi, aderì al grande progetto di Giuliano: quello di restaurare un "ellenismo" dove cultura e religioni antiche si sarebbero alleate per riconquistare il terreno occupato ormai da un secolo, nella società romana, dal cristianesimo in piena espansione. In questa sorta di coalizione dell'"intellighenzia" tradizionalista, vanno posti in primo piano i filosofi neoplatonici Massimo di Efeso e Prisco, i retori Temistio e il più distaccato Libanio d'Antiochia; Oribasio, il medico di Giuliano, di cui abbiamo perduto purtroppo le preziosissime memorie; infine, alti dignitari, come quel Saturninio Secundo Salustio che, per diffondere le idee di Giuliano, redasse il piccolo catechismo pagano dal titolo "Degli dei e del mondo", destinato "a coloro che vogliono istruirsi sugli dei" e "debbono essere ben guidati fin dall'infanzia e non nutrirsi di credenze assurde", in altri termini cristiane.
La folla non seguì sempre questi intellettuali. E anche se li seguiva d'istinto, per motivi non "filosofici", quando l'imperatore le permetteva il linciaggio dei cristiani in nuovi pogroms, questa folla non apprezzava molto un paganesimo bigotto, puritano e sostenuto. Abituati alla "dolce vita" della loro capitale, gli abitanti di Antiochia si affrettarono a farsene beffe. I loro rapporti con Giuliano, sempre più tempestosi, sfociarono in una rottura esplicita; constatazione amara e disincantata di questa rottura è il pamphiet imperiale del "Misopogon". Così, dagli ambienti colti al popolino della città, dall'alto al basso della scala sociale, persino tra quei pagani che ancora assumevano mollemente il sacerdozio. Giuliano, nella sua capitale di Antiochia, non fu persona grata. La politica di Giuliano conobbe rapidamente l'insuccesso persino con gli Ebrei, di cui invece teneva con ostentazione a ricostruire il tempio di Gerusalemme.