Agli antipodi di Gerusalemme, da un emisfero di acque oceaniche si leva verso la luna una montagna altissima. Sulle sue balze le anime salve affrontano le pene purificatrici e le meditazioni che le renderanno degne di "salire ale stelle". È questa la scena della seconda cantica dantesca. Il pellegrino che ha visitato i gironi della dannazione ascende ora, sotto la guida di Virgilio, "dolcissimo patre", dall'una all'altra schiera di penitenti: condivide le loro speranze, le loro preghiere, l'accusa e il ripudio del peccato, il sentimento vivissimo della fraternità umana; condivide il loro tempo, che è terreno come il suo, fatto dunque di albe, tramonti e notti stellate. Anche per questo il Purgatorio è la cantica dell'amicizia. Ed è la cantica della poesia, che parla di sé: "I' mi son un che, quando Amor mi spira, noto e a quel modo ch'e' ditta dentro vo significando". Giunto fra le delizie dell'Eden, il pellegrino piange la separazione da Virgilio e ritrova Beatrice: nel "santo riso" di lei, finalmente si perde "a disbramarsi la decenne sete". Diverso dall'Inferno delle grandi passioni mondane, come dalla sublime visione del Paradiso, il Purgatorio è il poema dell'uomo in cammino: "libertà va cercando, ch'è sì cara...".