"Coraggio, don Abbondio" non è un libro facile da definire, meno ancora da incasellare in un genere, in una categoria editoriale, o in una ideale sezione della libreria. Si potrebbe dire: una raccolta di racconti e di brevi saggi, di "scritti vari", come si usava chiamarli un tempo. In realtà, è qualcosa di più e di meglio. Piuttosto, una serie ragionata di sketch letterari (a volte anche in forma dichiaratamente teatrale, come in "Bona e Bella, sorelle gemelle", o quasi poetica, come negli "Spilli"). Un vero e proprio patchwork di testi, in cui, un po' provocatoriamente, a una prima parte di racconti sul filo dell'umorismo se ne giustappone una seconda di saggi serissimi sui temi del management. Storie di direttori (di giornali, o di aziende pubbliche e private: non fa molta differenza) in disgrazia, che cercano con ogni mezzo e ogni umiliazione di salvare la testa dal ceppo dell'inevitabile taglio. Storie di generali (di qualsiasi Arma: non fa molta differenza) dalla carriera perfettamente burocratica - come un pugile che fosse diventato campione europeo senza essere mai salito sul ring. Classe dirigente italica allo stato puro (anche la madre Badessa de "Il cuore della Superiora lo è"), con le sue poche virtù e i suoi numerosissimi vizi. Tutti raffigurati, però, nel momento in cui la parabola comincia a discendere, all'inizio della caduta. Smarriti, impauriti, angosciati.