C'è un piccolo, insinuante dissidio che serpeggia tra le righe di questo libro: quello fra il movimento e la quiete, fra un centro perduto e un centro posseduto, quello fra l'essere sempre lì e l'essere sempre altrove. In "Diario verosimile" di Alain Elkann, narratore instancabile di storie e aneddoti di vita, questa tensione percorre quasi tutte le pagine, discreta ma inesorabile fino al punto di rivelare il lato più intimo e dolcemente malinconico dell'autore. Persone, incontri, viaggi, uomini, donne, figli, amici, paesaggi, vita mondana e vita interiore, libri, ambizioni, insicurezze, paure, lutti, ricordi e desiderio di vivere, e scrivere in pagine di un diario che è privato ma non troppo. Il lettore incontra, pagina dopo pagina, Pier Vittorio Tondelli e Alberto Moravia, Jay Mclnemey e Marcello Mastroianni, Milan Kundera e Simon Beckett, Truman Capote, Umberto Eco. Ma fra le luci e le ombre della mondanità culturale si apre lo squarcio di una camera d'ospedale e il ricordo di un cedimento del cuore; uno scricchiolio che si fa ferita quando a morire è il padre, uomo severo ed enigmatico, presidente di una comunità, quella ebraica, che ha nel proprio destino lo sradicamento. Lo stesso di Elkann che, rincorrendo frammenti di realtà, attraversa scenari e paesaggi, dal cimitero ebraico di Praga a un Coffee Shop di New York fino al limpido cielo di Roma, offrendoli ai suoi lettori in un viaggio senza fine.