Le due vicende giudiziarie che vengono qui di seguito presentate e discusse hanno animato e diviso l'opinione pubblica del nostro Paese, occupando per lunghi mesi le pagine dei giornali e dei programmi televisivi. Si tratta dei "casi" di Piergiorgio Welby e di Eluana Englaro. Il primo affetto da una malattia neurologica degenerativa, la seconda sopravvissuta, grazie ai mezzi tecnici di cui oggi la medicina dispone, ad una terribile incidente stradale ma con un gravissimo deficit neurologico che la riduceva a vivere in "stato vegetativo". Welby era perfettamente cosciente del suo stato, Englaro, a quanto ci è dato sapere, no. Il primo caso tutto concentrato nel giro di pochi mesi, il secondo che si prolunga per anni. Due casi, dunque, molto diversi, accomunati forse dall'essere entrambi murati vivi nel loro corpo. Tanto dal punto di vista morale quanto da quello giuridico si confrontano, in essi, due diverse concezioni della vita. Sotto il profilo giuridico tutto ciò investe il problema del diritto alla vita e del diritto di morire. Ma vi è, sotto il profilo giuridico, anche un altro modo per considerare queste vicende, e cioè quello del diritto positivo, che consiste nell'analizzare come i due casi sono stati affrontati dai giudici che sono stati chiamati a decidere sulla base delle leggi esistenti, nel primo caso, su una richiesta di so-spensione di un trattamento non più voluto, fatta dall'interessato, nel secondo su una richiesta di sospensione di un trattamento fatta dal tutore dell'interdetta.