Joseph Roth è il grande narratore di una cesura storica, di una faglia aperta nella compattezza della storia europea dalla fine dell'impero austro-ungarico, dopo la prima guerra mondiale. Con precisione chirurgica, feroce e sarcastica, descrive la decadenza della vecchia cultura nel fallimento e nel lento dissolvimento dei suoi personaggi: un mondo è crollato definitivamente catastrofe annunciata, perché le fondamenta stesse dell'impero poggiavano sul vuoto - e non ce n'è uno nuovo in vista che possa sostituirlo, cui le zattere dei naufraghi possano approdare. Non ci sono approdi possibili se non si è in grado di pagare il pedaggio: rinunciare alla propria identità, rinnegare il passato, diventare altri. Qualcuno ci prova, e presto si trova completamente disorientato. Ma Roth stupisce e sorprende quando ci rendiamo conto che il suo scrivere di un particolare e tragico momento storico, di vite crollate, di dolore senza conforto, di catastrofi senza rimedio può suggerire la metafora di uno stato della coscienza umana in cui la crisi esistenziale raggiunge il suo acme, in cui tutto è perduto. Ma quando più nessuno ci spera, da lontano arriva dolcemente una musica consolatrice: la suona il figlio del protagonista del romanzo Giobbe, figlio malato, condannato e abbandonato che ricompare guarito, ricco, famoso direttore d'orchestra. C'è rimasto qualcosa, una musica, un'idea dell'arte, chissà, in grado di scongiurare il pericolo del vuoto assoluto. Introduzione di Giorgio Manacorda.