Al centro dei suoi romanzi, osserva Javier Cercas, e di quelli che ammira, c'è sempre un punto cieco, un punto attraverso il quale, in teoria, non si vede nulla. Ma è proprio attraverso quel punto cieco che, in pratica, il romanzo vede o, potremmo dire, il silenzio parla. In questi libri (quelli che lo interessano) pulsa una domanda centrale, e l'intero romanzo consiste nella ricerca di una risposta che in realtà non esiste. O meglio, "la risposta è la ricerca stessa di una risposta, la domanda stessa, il libro stesso: una risposta essenzialmente ironica, equivoca, ambigua e contraddittoria, l'unico tipo di risposta che possa permettersi un romanzo". Il romanzo, insomma, scrive l'autore dell'"Impostore", è il genere delle domande; sta al lettore riempire i vuoti lasciati dallo scrittore con la propria sensibilità e le proprie informazioni. Questo è il cuore di un libro che spazia da Borges a Kafka, da Melville a Tomasi di Lampedusa, a Vargas Llosa, a Cervantes, offrendoci le intuizioni e le riflessioni di uno dei più geniali scrittori europei (e dei narratori più innovativi) sui meccanismi che governano il romanzo e sul suo carattere duplice ed elusivo.