Il quarto libro delle Storie contiene la storia più bella narrata da Erodoto. Sotto la guida di Dario I, un grande esercito persiano avanzò nella Scizia: nel cuore dei paesi del freddo, dove per otto mesi all'anno il mare gela, il freddo fa cristallizzare le lacrime nell'occhio, e l'orizzonte è nascosto da una nevosa tempesta di piume. I cavalieri sciti si ritirarono come fantasmi davanti all'armata di Dario, distruggendo i raccolti, bruciando i pascoli, riempiendo i pozzi di terra, o comparendo all'improvviso sui loro cavalli, per aggredire i soldati che riposavano accanto ai fuochi accesi nella notte. I Persiani non potevano raggiungerli, a meno che non divenissero uccelli per assalirli dal ciclo, o non si trasformassero in topi per inseguirli sotto terra, o in rane per balzare nelle paludi. Così Dario decise di tornare in patria. Gli arcieri a cavallo della Scizia avevano sconfitto gli strateghi del "re dei re". Gli sciamani avevano scrutato il futuro meglio dei maghi achemenidi. L'antica patria degli Iranici era rimasta lontana e imprendibile, come i grifoni che custodiscono l'oro tra le nevi del Settentrione.
Nessuno dei grandi affreschi etnologici di Erodoto è forse pari a quello che egli ha dedicato alla Scizia: con le pagine meravigliose sulle tombe, i rituali funebri, le cerimonie sciamaniche. Le modernissime indagini archeologico-etnologiche, che Aldo Corcella ha raccolto con precisione e completezza nel suo commento, non fanno che confermare ciò che ha scritto Erodoto, quest'uomo innamorato dell'esattezza.
L'ultima parte del libro è dedicata alla Libia: Erodoto si inoltra sempre più lontano nel deserto, tra le montagne e le case di sale, dove non scende nemmeno una goccia di pioggia. Quando giungiamo tra gli uomini che non hanno nomi propri ne sogni, noi, che siamo fatti di nomi e di sogni, sappiamo di aver toccato la fine del mondo.
Il volume è accompagnato da un ampio inserto iconografico di ori e documenti scitici.
Indice - Sommario
Introduzione al Libro IV
Bibliografia
Abbreviazioni bibliografiche
Sommario del Libro IV
Cartine
TESTO E TRADUZIONE
Sigla
Nota al testo del Libro IV
Il Libro III delle Storie
Scoli
Lessico
COMMENTO
Appendici
Indice dei nomi
Prefazione / Introduzione
Dall'introduzione
Il quarto libro di Erodoto si apre con la decisione da parte di Dario di marciare contro gli Sciti; ciò avverrebbe "dopo la presa di Babilonia", narrata alla fine del terzo libro. Questa vaga datazione ha fatto molto discutere; e stabilire quando realmente la spedizione ebbe luogo non è facile. Sarebbe comunque un errore non riconoscere che l'indicazione erodotea è funzionale al "tempo narrativo": Erodoto dice che la spedizione avvenne dopo la presa di Babilonia perché ha deciso di narrarla subito dopo di quella, ma l'intervallo di tempo effettivo resta indeterminato, celato - come spesso accadeva nell'epica - nell'apparente continuità del racconto. Contemporaneamente alle ultime fasi della spedizione di Dario si svolge d'altro canto la spedizione in Libia; tutta la narrazione del quarto libro si sviluppa intorno a questi due eventi, quasi simultanei ma raccontati in sequenza, uno dopo l'altro.
All'iniziale dichiarazione sulla spedizione scitica fa seguito l'indicazione della causa. Come di consueto in Erodoto, sulla motivazione economica generale (la ricchezza dell'Asia, la volontà di espansione) si innesta la causa particolare, la vendetta. Il motivo della vendetta riporta la narrazione indietro, con un richiamo all'invasione scitica dell'Asia di cui Erodoto aveva parlato a I 103-6. Questo flashback offre il pretesto per raccontare un episodio relativo al ritorno degli Sciti dall'Asia: un piccolo excursus all'interno del quale se ne inserisce un altro (la lavorazione del latte da parte degli schiavi). Nel cap. 4, quindi, l'excursus viene chiuso con una tipica formula di passaggio che ci riporta al tema della spedizione di Dario enunciato al cap. I: "Fu così che gli Sciti dominarono sull'Asia, e... tornarono in patria nel modo che ho detto. Per questo motivo Dario, volendo vendicarsi, raccoglieva un esercito contro di loro".
A questo punto ci attenderemmo il racconto della spedizione. Questo racconto comincerà però solo al cap. 83; i capp. 5-82. sono invece occupati da un ampio excursus, il cui argomento è la Scizia e gli Sciti.
II
II modo in cui questo excursus si sviluppa ricorda da vicino il logos egizio del secondo libro. L'intimo nesso tra le due sezioni consiste nell'analogo atteggiamento, nel comune indirizzo della ricerca. Se il logos egizio si apre con la dichiarazione che gli Egizi sono il popolo più antico o quasi, all'esordio di quello scitico viene detto che gli Sciti sono i più giovani; entrambe queste affermazioni vengono quindi discusse attraverso un'analisi delle tradizioni locali, messe a confronto con quelle greche. Il problema dell'origine del popolo si lega così a quello dell'estensione del territorio e della sua delimitazione: per l'Egitto, si discute della sua natura di "dono del Nilo", della sua posizione a cavallo tra Asia e Libia e delle regioni all'estremo sud, fino alle foci del Nilo; per la Scizia, delle regioni poste all'estremo nord.
Erodoto va così esplorando i confini dello spatium historicum e dello spazio geografico, e la sua ricerca lo porta a una polemica contro i predecessori: se i racconti mitistorici greci vengono smentiti dalle tradizioni locali, le nozioni della geografia ionica si rivelano troppo schematiche rispetto alla realtà. L'excursus di IV 36.2.-45 sulla divisione tra le parti del mondo, apparentemente pretestuoso, trova così una sua motivazione: alla base della descrizione geografica della Scizia c'è la medesima esigenza di controllo e di verifica dei dati precedentemente noti ai Greci, e cristallizzati nei loro peripli e carte, che animava l'inizio del libro secondo (nonché la riflessione sulle regioni estreme del mondo a III 106-16); e a IV 36.2.-45 Erodoto può finalmente tirare le somme, su un piano più generale, di tutto questo lavoro.
Solo tenendo presenti questi presupposti la struttura per certi versi disordinata del logos scitico può risultare più chiara. Innanzitutto, Erodoto deve fare i conti con i precedenti autori greci. Dell'origine degli Sciti e dei popoli che, al di là della Scizia, vivevano ai margini del mondo conosciuto, aveva già parlato una curiosa figura di poeta, Aristea di Proconneso, in un altrettanto singolare poema, le Arimaspee. Ma Aristea, tipico esponente di quella schiera di figure misteriose a proposito delle quali si raccontavano, nella Grecia tra età arcaica e classica, reincarnazioni, sparizioni miracolose, episodi di ubiquità, non era un personaggio che potesse incontrare il favore di Erodoto. A esordio del proprio poema egli affermava di essere approdato tra gli Issedoni "per un in-vasamento di Apollo": qualcosa di simile, forse, ai mistici arabi medievali sempre pronti a partire dalla natia Spagna per il loro misterioso "oriente". Aristea, per parte sua, doveva parlare di un volo magico, e discorreva degli Iperborei, il mitico popolo apollineo ben noto ai poeti greci. Tutto ciò sembrava fatto apposta per destare la diffidenza di Erodoto, il quale rivela chiaramente il suo scetticismo sulla realtà del viaggio di Aristea; e anche gli studiosi moderni, incerti perfino sulla sua collocazione cronologica, non sanno decidere se Aristea fosse solo un sublime ciarlatano, che inserì nel racconto del suo "viaggio dell'anima" elementi geografici, etnografici e mitici raccolti da ogni dove; oppure un reale viaggiatore, spintosi dalla Propontide fino agli avamposti settentrionali della grecità e di lì penetrato nelle steppe eurasiatiche, dove figure e leggende sciamaniche poterono corroborare una vocazione apollinea ben diffusa in tutte le colonie milesie del Ponto.