Con le "Vite di Cimane e di Lucullo", nel testo critico curato da Mario Manfredini e accompagnato dal ricco commento di Luigi Piccirilli, la Fondazione Lorenzo Valla continua la pubblicazione di tutte le Vite di Plutarco.
Cimone è uno di quei caratteri "minori", che talvolta Plutarco preferisce ai grandi della storia: dolce, amabile, affabile, così diverso da Temistocle e Milziade e Pericle, che vivono contemporaneamente nella storia e nel mito.
Il fascino della Vita di Lucullo sta soprattutto nei fondali, che Plutarco dipinge - lui, il biografo - con una tecnica da grande affrescatore: quest'Asia barbarica ed ellenizzata, i paesaggi della Turchia di oggi, i caratteri abbaglianti e sinistri di Mitridate e di Tigrane, l'efficienza disumana e la crudeltà e l'indisciplina dell'esercito romano. Su questi fondali vediamo consumarsi la tragedia di Lucullo: l'aristocratico elegante e ironico, il grande generale, che supplicando e piangendo cerca di far combattere i suoi soldati, dai quali viene invece insultato e sbeffeggiato. L'ultima parte della Vita da l'impronta definitiva alla tragedia di Lucullo. Niente di più toccante del suo affondare nelle frivolezze e nei piaceri: Plutarco finge (o immagina) di condannarlo; ma, in realtà, da artista consumatissimo, gioca di ombre e di luci, evocando un personaggio meraviglioso.
Indice - Sommario
Introduzione
Appendice all'Introduzione
Bibliografia generale
Tavole
TESTO E TRADUZIONE
Sigla
La vita di Cimone
La vita di Lucullo
Confronto fra Cimone e Lucullo
Scolî
COMMENTO
La vita di Cimane
La vita di Lucullo
Confronto fra Cimone e Lucullo
APPENDICE
Nota al testo
Lessico geografico
Indice dei nomi
Prefazione / Introduzione
Dall'introduzione
La "Vita di Cimone". Si è sostenuto che di rado Plutarco descrive in modo coerente il protagonista di una Vita, ma che il ritratto di Cimone è contraddittorio più del solito'. Attingendo da Stesimbroto di Taso, Plutarco inizia con il delineare un profilo poco edificante di Cimone. Numerosi i suoi difetti, poche le virtù: era screditato agli occhi dei suoi concittadini, avendo una pessima reputazione. Appariva come un giovanotto dissoluto, beone e trascurato, tutto il ritratto di suo nonno Cimone, soprannominato per la sua dabbenaggine Coalemo, cioè Balordo. Non venne educato ne alla musica ne ad alcuna delle discipline coltivate in Grecia dai giovani di buona famiglia. Per di più mancava di quell'efficacia e ricchezza di linguaggio tipiche degli Attici. Oltre a prediligere vino e baldorie, aveva un debole per le donne. Il poeta Melanzio rammenta un'Asteria e una Mnestra fra quelle corteggiate da Cimone, e Stesimbroto ricorda che ebbe due o tre figli da una donna nativa di Kleitor in Arcadia. Amò appassionatamente anche Isodice, figlia di Eurittolemo di Megacle, sua legittima sposa, e soffrì moltissimo per la sua morte (4,10). Non è tutto: ancora giovane fu accusato d'intrattenere rapporti incestuosi con la sorella Elpinice, la quale, in verità, non tenne mai una condotta esemplare, e fra l'altro se l'intendeva con il pittore Polignoto. Gran dama chiacchierata dell'antichità, costei ebbe notevole influenza non solo sul fratello, ma anche su Pende, divenendo il loro mentore politico. Attingendo ancora da Stesimbroto, Plutarco riferisce che Elpinice intercedette in favore del fratello presso Pericle, quando costui lo accusò di aver lasciato cadere l'opportunità, che gli si era offerta dopo aver espugnato Taso nel 46^/2., d'invadere la Macedonia perché corrotto con doni da Alessandro I, sovrano di quella regione. E sebbene si sostenesse che le grazie di Elpinice lasciassero del tutto indifferente Pericle, non di meno egli durante il processo seguito a questa accusa si comportò nei confronti di Cimone con sorprendente benevolenza: si alzò una sola volta a parlare contro l'imputato, quasi per assolvere una mera formalità. Per i buoni uffici di Elpinice, Cimone concluse nel 451/0 un accordo segreto con Pericle: egli avrebbe avuto il comando delle operazioni militari fuori dell'Ellade e sarebbe salpato con duecento navi alla conquista dei territori soggetti ai Persiani; Pericle avrebbe avuto mano libera in Atene. Sempre secondo Stesimbroto, riecheggiato da Eupoli e Crizia, gli Ateniesi furono indotti dal filolaconismo di Cimone e dai suoi rapporti incestuosi con Elpinice a colpirlo con l'ostracismo. Ancora: Cimone era spietato nei confronti dei potenziali nemici di Atene, degli alleati stessi della città, degli avversari personali. Mise a ferro e fuoco il territorio e attaccò la città di Faselide, che si era rifiutata sia di accogliere nei suoi porti la flotta ateniese sia di abbandonare la causa persiana (11,3).Represse duramente la ribellione di Taso (14,2.) e infine, stando a Stesimbroto, fece condannare a morte Epicrate di Acarne, il quale aveva agevolato la fuga da Atene della moglie e dei figli di Temistocle. Pure la conclamata onestà di Cimone era messa in dubbio: a Stesimbroto, che ricordava il processo contro lo statista accusato di essersi lasciato corrompere dal sovrano di Macedonia, faceva eco Teopompo il quale, oltre a interpretare la liberalità di Cimone come una forma di demagogia, lo bollava come ladro, addebitandogli anche la responsabilità di aver impartito agli strateghi ateniesi un insegnamento di corruzione.
A questo ritratto di Cimone, certamente poco elogiativo, Plutarco ne giustappone uno di segno-opposto, utilizzando notizie desunte prevalentemente da Ione di Chio. Secondo costui, Cimone aveva un aspetto tutt'altro che disprezzabile: era alto di statura e aveva una capigliatura ricciuta e folta. A differenza di Pericle, che nel trattare era arrogante poiché alla presunzione univa un grande disprezzo degli altri, Cimone aveva modi signorili. Narra Plutarco che, distintosi nella battaglia di Salamina per splendidi atti di valore, acquistò subito rinomanza presso i suoi concittadini. Molti lo incitavano a compiere imprese degne di Maratona, sicché, quando si accinse a fare il suo ingresso in politica, fu accolto con favore, venendo innalzato ai più grandi onori. Era ben visto da tutti proprio per la bontà e la mitezza del carattere. Diversamente da Pausania, che trattava con crudeltà gli alleati infliggendo loro ogni sorta di umiliazioni, Cimone accolse benevolmente quanti avevano subito offese dal reggente spartano. Comportandosi così, quasi senza darlo a vedere sottrasse ai Lacedemoni l'egemonia dell'Ellade non con la forza delle armi, ma con discrezione. Era lui a sbrigare la maggior parte degli affari dei Greci: sapeva trattare gli alleati affabilmente e riusciva nel contempo gradito agli Spartani, i quali per la stima e la simpatia verso di lui non si risentirono quando gli Ateniesi cominciarono ad ampliare il loro impero e a intromettersi nelle questioni degli alleati. Del resto, erano stati proprio gli Spartani che, ostili a Temistocle, avevano favorito l'ascesa di Cimone, preferendo che in Atene dominasse lui, benché ancora giovane. Già ricco di suo - disponeva infatti di un principesco patrimonio personale -, usò i proventi delle guerre, che tutti gli riconoscevano aver guadagnato con onore, per il bene dei suoi concittadini. A dire di Aristotele, di Cornelio Nepote e di Plutarco, Cimone fece togliere gli steccati dai suoi campi, perché stranieri e cittadini potessero liberamente cogliere i frutti della sua terra. Affinché anche ai poveri fosse lecito partecipare alla vita politica, dispose che ogni giorno venisse approntato in casa sua un pranzo frugale, ma sufficiente per quanti avessero voluto profittarne.