Le Vite che Plutarco ha dedicato a Lisandro e a Silla non sono meno straordinarie di quelle di Demetrio e di Antonio, che la Fondazione Valla ha pubblicato due anni or sono, nell'edizione critica a cura di Mario Manfredini. Lisandro è il generale volpe, che anticipa la frase famosa di Machiavelli: "dove non arriva la pelle di leone, bisogna cucirvi sopra quella della volpe". Plutarco è affascinato dalla sua cautela e dalla sua astuzia: non ama l'orgoglio eccessivo, l'alterigia, il culto di sé, che lo colgono nella vecchiaia, quando viene accecato dalla hybris: ironizza sulle sue tarde macchinazioni, quando tenta di avere dalla sua, con l'inganno, il soccorso di Apollo; e nulla lo commuove quanto il momento in cui gli Spartani e gli alleati decidono di radere al suolo Atene. Un Focese intona per caso dei versi di Euripide, e tutti sono presi dalla compassione, e comprendono quanto sia assurdo distruggere una città che ha dato i natali a uomini così meravigliosi.
Per Plutarco, Silla è un groviglio di contraddizioni, come Antonio e Alcibiade. Nessun carattere gli sembra più incoerente. Quest'uomo devoto ai segni divini e che ostenta la protezione del cielo, viola i santuari degli dei; quest'uomo che ama la vita lieta, che si circonda di mimi e di buffoni e coltiva i motti di spirito, finisce la sua esistenza come uno dei più sinistri e tenebrosi tiranni dell'umanità - proscrivendo, assassinando, massacrando -, e il timorato Plutarco racconta con atroce impassibilità i suoi ultimi anni di sangue e di abominazione. Siila muore infestato dai vermi, putrefacendosi - e questa morte sembra un contrappasso agli orrori della sua vita.
Indice - Sommario
Introduzione
Appendice all'Introduzione
Bibliografia generale
Tavole genealogiche
Cartine
TESTO E TRADUZIONE
Sigla
La vita di Lisandro
La vita di Silla
Confronto fra Lisandro e Siila
Scolî
COMMENTO
La vita di Lisandro
La vita di Silla
Confronto fra Lisandro e Silla
APPENDICE
Nota al testo
Indice dei nomi
Prefazione / Introduzione
I. La "Vita di Lisandro". Quella di Lisandro è senza dubbio una biografia poco unitaria, perché contiene testimonianze e apprezzamenti sull'operato del protagonista singolarmente contraddittori. Sulla base di dati oggettivi, Plutarco da una valutazione quasi sempre positiva delle imprese compiute da Lisandro: se, per un verso, presenta la vittoria da lui conseguita a Nozio nel 407/6 quale evento di portata limitata, reso celebre solo dal fatto che segnò la fine della carriera politico-militare di Alcibiade (5,4), per un altro verso non esita a esaltare quella di Egospotami del settembre del 405, una battaglia ritenuta "opera degli dei" (11,13). Allora l'abilità strategica di un solo uomo, di Lisandro, pose finalmente termine all'annosa guerra del Peloponneso; un conflitto che aveva suscitato molti scontri, continui capovolgimenti di situazioni, e causato la perdita di così numerosi eserciti come non si era mai verificato in passato (11,11-2.). Plutarco giudica con approvazione soprattutto la popolarità acquisita da Lisandro fra tutti i Greci, inclusi quelli delle isole egee e dell'Asia Minore, che vedevano con favore i mutamenti da lui operati. Questi plaudivano al fatto che egli aveva restituito l'isola agli Egineti e riportato in patria i Meli e gli Scionei, dopo averli liberati dagli Ateniesi (14,4). A tale proposito lo scrittore riferisce, sull'autorità di Duride di Samo, che in onore di Lisandro, primo fra gli Elleni, le città (della Ionia) eressero altari quasi fosse un dio, fecero sacrifici, intonarono peani e i Sami decretarono nell'agosto del 404 di mutare in Lisandrie il nome delle feste di Era, che si celebravano presso di loro (18,5-6).
Nel corso della Vita, Plutarco elogia Lisandro: lo apprezza perché fu sempre rispettoso, come pochi, dei costumi della patria e si mostrò superiore a qualunque piacere, se si esclude quello che le nobili imprese procurano a chi le compie con onore e successo (2-,i). Anche l'ambizione e la brama di superare gli altri non erano connaturate in lui; derivavano piuttosto dalla sua educazione laconica. Per indole era portato, invece, a essere ossequioso verso i potenti più di quanto non fosse nelle abitudini spartane e tollerava di buon grado il peso opprimente della loro autorità, qualora gli fosse sembrato necessario: dote questa di perizia politica -conclude Plutarco (2-,4) - ritenuta da alcuni di certo non secondaria. Nato povero, sopportò sempre con dignità la miseria, non lasciandosi mai allettare né corrompere dal denaro. Benché dopo la guerra del Peloponneso avesse riversato in Sparta grandi quantità d'oro e d'argento, contribuendo così a privarla di quell'ammirazione di cui andava fiera per il sommo disprezzo delle ricchezze, non tenne per sé neppure una dracma. E la morte, che rivelò appieno la povertà di Lisandro, rese ancora più fulgida la fama della sua virtù: delle tante sostanze acquisite, del prestigio raggiunto, dell'ossequio tributategli dalle città e da Ciro il Giovane, egli non approfittò minimamente per ingrandire e arricchire la propria casa.
Tuttavia, in ossequio a un principio altrove enunciato, Plutarco non omette di enumerare i difetti e gli aspetti negativi del carattere del suo "eroe". Lisandro innalzava a importanti incarichi, a onori, a comandi militari quanti erano già suoi amici ed erano a lui legati da vincoli di ospitalità, rendendosi anche complice di ingiustizie e malefatte, pur di soddisfare la loro ambizione (5,6). Abolì i governi democratici o di qualsiasi altro tipo, inviando dappertutto armosti e istituendo commissioni formate da un collegio di dieci individui di provata fede oligarchica. Così operando, non faceva distinzione fra città nemiche e città alleate di Sparta, avendo come fine solo quello di procacciarsi un potere personale. Nella scelta dei magistrati non badava né alla loro nobiltà né al loro censo: favoriva nelle cariche chi era a lui devoto, conferendogli l'autorità di premiare o di punire ad arbitrio. Assistendo di persona a numerosi massacri e aiutando gli amici a sbarazzarsi degli avversari, non fornì certo ai Greci un esempio edificante dell'egemonia spartana (13,5-7). Nel settembre del 404 privò gli Ateniesi della libertà, consegnando la loro città nelle mani dei Trenta Tiranni; inoltre si rese forse corresponsabile dell'uccisione di Alcibiade. Lisandro era intollerante, incapace di portare il giogo impostogli in patria e insofferente dei comandi altrui (2-0,8). Era caustico nell'eloquio e incuteva timore a quanti lo contraddicevano. Agli Argivi, che una volta discutevano su questioni relative al loro territorio e sostenevano di avere ragioni più valide di quelle dei Lacedemoni, Lisandro, mostrando la spada, disse: "Chi impugna questa possiede gli argomenti migliori in materia di confini". Furente contro l'ingrato Agesilao, la cui ascesa al trono aveva favorito, decise di attuare senza ulteriori rinvii un progetto volto a capovolgere e a innovare la costituzione di Sparta. Meditò di togliere potere alle due case regnanti, agli Euripontidi e agli Agiadi, rendendo la monarchia accessibile non solo a tutti gli Eraclidi, ma anche a tutti gli Spartiati. In tal modo, il trono non sarebbe stato più appannaggio dei soli discendenti di Eracle, ma di quanti per virtù fossero ritenuti simili a questo eroe, innalzato agli onori divini per i suoi meriti. Ovviamente Lisandro sperava che, se il regno fosse stato assegnato in questa maniera, sarebbe toccato a lui.