Spinto a emigrare dal fratello maggiore, Habel lascia il suo paese magrebino per Parigi. Un mondo nuovo, che egli vuole soprattutto capire e di cui vorrebbe far parte. Tra le esperienze, spesso insidiose, fondamentale è l'incontro con l'amore: due ragazze sorprendenti e un terzo personaggio di cui non si sa se è uomo o donna. Tuttavia Habel lotta per non farsi annullare nella fiumana indifferente del traffico e delle persone-robot, per mantenere la piena coscienza di sé. L'autore scrive il romanzo di formazione di un emigrato che non vuole integrarsi attraverso il lavoro né tanto meno destare pietà.
In bilico tra realtà storica e immaginazione poetica, un romanzo che rievoca i tempi della Conquista. Un agonizzante Filippo II prega nel suo letto di morte, accompagnato dagli spettri della Controriforma. A bordo di una nave spagnola diretta ai Caraibi, nel secondo viaggio di Colombo, un soldato attraversa mille peripezie tra gli indios di una terra ricca e accogliente. In mezzo a tanta umanità, la crudeltà dei conquistatori, ossessionati come il loro sovrano, dall'idea di Dio e dell'oro. I Caraibi sono qualcosa di più di un arcipelago, sono un mondo che non ha né principio né fine, dove il commercio, il sesso e le culture si fondono insieme. Una metafora sull'uomo moderno, che ancora oggi ricerca se stesso.
Un viaggio fa da sfondo alle vicende narrate dai due protagonisti che s'incontrano in un treno: Elyas, il prototipo del commerciante furbastro, più profondo di quanto vuole apparire, e Mansùr, l'emblema dell'intellettuale mediorientale costretto a lasciare il suo paese per motivi politici. Nella prima parte è il cristiano Elyas a evocare nel suo racconto i ricordi di una vita difficile, ma la sua è una storia piena di inquietudine verso una società che lo ha sempre osteggiato. Nella seconda parte è il musulmano-laico Mansùr a meditare sulla vita, sugli amori e sul viaggio che lo porterà a misurarsi con altri mondi. Una storia d'amicizia che permette di affrontare il tema rapporto tra storia e politica, tra potere e sopraffazione nel mondo arabo.
Alla fine di una vita attraversata da molte vicende e padroni diversi, una vecchia schiava si ritira nel tronco cavo di un gigantesco baobab. All'interno di quel rifugio, che la accoglie e la protegge, la donna ricorda e racconta, a se stessa e all'albero - immaginario interlocutore, alter ego, ideale testo alla cui corteccia affidare pensieri e riflessioni. Dalle violenze subite, alle maternità, dagli amori ai ricordi di infànzia, dalla magia della natura che la circonda, a frammenti di un mondo che cambia. In un linguaggio di altissima poesia in cui le vicende del Sudafrica risuonano di continuo, in filigrana, nel tessuto del testo.
In questo "Diario palestinese", in cui i protagonisti non hanno nome né volto, la drammatica storia della Palestina rivive nei ricordi di due uomini. Tutto si svolge dentro la notte, in due tempi di narrazione: il presente, rappresentato dal viaggio verso il nulla, e il passato che riaffiora e s'impone. Come perle in una Terra lacerata e contesa, riemergono anche i pochi ricordi sereni d'infanzia e d'amore. L'autore, nato e cresciuto egli stesso in un campo profughi, crea senza alcun compiacimento una perfetta ambientazione storica, sospesa tra realtà e trasfigurazione poetica.